A tutti capita, prima o poi, di vivere esperienze che possiamo definire solo magiche e capire cosa significa lavorare con la parte destra del cervello.
La storia delle cento scimmie
Quando abbiamo un’intuizione ci sembra di essere unici e illuminati, tanto da pensare addirittura di voler brevettare quell’idea o quel prodotto.
Vorrei raccontarvi la storia delle 100 scimmie. È chiamato anche il fenomeno della centesima scimmia è un evento paranormale.
Lo scrittore inglese Lyall Watson dichiarò di avere osservato questo fenomeno, per la prima volta, nel 1979 nell’isola giapponese di Koshima. In realtà, si tratta di un mito.
Un carissimo amico mi diceva sempre che quando una persona qualunque ha un’idea anche altre 200 persone nel mondo hanno avuto la stessa idea. Personalmente ritengo che il primo che riesce a realizzarla e a metterla in pratica può “coprire” le quote di mercato per un buon ottanta per cento.
La storia è questa: Si racconta di una tribù di macachi che viveva sull’isola di Koshima. Mangiavano patate dolci intrise di sabbia. Ad un centro momento della loro evoluzione alcune di loro cominciarono a lavarle e a pulirle dalla sabbia per gustarle meglio.
Quando la centesima scimmia imparò a pulirle anche tutte le altre scimmie dell’isola assunsero lo stesso comportamento. Quello che ha dell’incredibile è che anche tutte le altre tribù di macachi di altre isole che non erano mai state in contatto per alcun motivo si comportarono nello stesso modo.
Questo aneddoto e questa scoperta potrebbero farci comprendere che esiste una connessione tra i macachi e che potrebbe esserci anche nell’essere umano.
La firma – di Piero Chiara
Favoloso elzeviro dal Corriere della Sera, Mi ricordo di quante volte ho parlato di quest’articolo. Per me è un opera d’arte. Spettacolare, vi farà riflettere.
Quando si sente dire che un capufficio firma in un giorno trenta o quaranta lettere, che i dirigenti d’azienda, gli impiegati di banca o i funzionari dello Stato adoperano addirittura una firma ridotta ad uno sgorbio chiamato sigla per sottoscrivere ordini di servizio, buoni di consegna, certificazioni d’incasso, passaggi di valuta o di merce su centinaia di bollette e di moduli, ci si rende conto che l’uomo oggi firma con la stessa facilità con la quale fuma, tossisce, beve, soffia il naso o sputa, cioè senza riflettere, e soprattutto senza dare importanza alcuna all’atto che sta per compiere.
Ben altra cosa era il firmare fino a un po’ di anni fa. Intanto, nessuno firmava in piedi, come fanno oggi i vigili urbani, i ferrovieri, i destinatari di una raccomandata o d’un pacco e moltissimi magazzinieri o controllori, i quali si servono di blocchetti donde spiccano senza posa tagliandi con tanto di firma o sigla, mandandoli qua e là, come foglie portate dal vento.
La firma era, fino a non molti anni fa, una cerimonia vera e propria, che veniva compiuta quasi sempre in presenza di testimoni attentissimi, davanti a notai o magistrati, e a suggello di impegni assunti per tutta la vita. Nessuno sottoscriveva col cappello in testa o con indosso un cappotto. Chi firmava doveva mettersi a suo agio, ben seduto, non impedito dal giromanica d’un soprabito, col polso ben sciolto e, se era il caso, dopo aver inforcato un paio d’occhiali.
Era comunissimo, di persone anche d’importanza ma che non firmavano tutti i giorni, il compiere, prima di affrontare la carta bollata, un prova di scrittura sopra un foglietto qualsiasi. La prova serviva ad alleggerire il pennino di un possibile sovraccarico d’inchiostro che avrebbe potuto causare una macchia, una di quelle macchie dai bordi frastagliati e con una corona di spruzzi che gettavano l’angoscia nel cuore del firmatario; ma più che a riparare le conseguenze di uno sregolato intingere, lo sgorbio fatto come a caso su un pezzo di carta straccia a scaricare la tensione dello scrivente e a dar l’avvio al gesto fatidico della firma, col ghirigoro o lo svolazzo che la completava e la personalizzava.
Colui che firmava, poggiava una mano aperta sul foglio per tenerlo fermo, piegava il capo sul piano del tavolo, strabuzzava gli occhi e iniziava l’operazione senza poter trattenere una smorfia della bocca o delle guance, che seguivano con stiramenti o contrazioni l’andamento della mano, i suoi inceppi, le sue soste e la sua corsa finale verso un paraffa che riusciva sempre uguale o quasi, e si presentava, nel suo disegno astratto, come la sintesi grafica di un carattere, di un temperamento.
Innanzi alle corti di giustizia, davanti ai notai, agli ufficiali dello Stato Civile o a quelli di polizia, non era raro assistere alla firma di un popolano o di un contadino, la quale non era meno solenne e laboriosa di quella di un notabile. Il contadino, al quale fin dall’infanzia veniva raccomandato di non mai firmare e di non mai giurare, e che sapeva per esperienza sua o di suoi consanguinei quanto fosse irrimediabile l’impegno sottoscritto, avvicinandosi al tavolo dove l’aspettavano carta penna e calamaio, si sentiva mancare, Uomini che reggevano due buoi aggiogati all’aratro, che piegavano un ramo grosso quanto un braccio d’uomo, che con la vanga o la zappa rompevano e rivoltavano la terra, quando avevano nelle mani la penna sembravano aggravati da un peso insopportabile. Spesso, dopo aver vergato faticosamente la prima lettera del proprio cognome, alzavano il viso sfiniti come dopo un salasso e sulla loro fronte apparivano gocce di sudore. La fatica necessaria a costringere il braccio e la mano ad un troppo piccolo movimento, e la stessa necessità di uno spostamento contenuto della penna, rendevano ardua l’impresa.
Ma alle costrizione fisiche si sovrapponevano, ben più gravi, le repulsioni morali: la consapevolezza di assumere un impegno dal quale non si sarebbe mai potuto recedere, e l’impressione di abbandonare in mano altrui e non sempre amica o fidata qualche cosa di così intimamente legato alla persona, come è il geroglifico inimitabile del proprio nome e cognome. Ne veniva un complesso di inibizioni, di timori repressi, di nefaste previsioni per il futuro che formavano, sulle spalle di colui che firmava, un peso più grave di qualunque altra somma. E raro non era che da una di quelle firme scaturissero guai, perdite di danaro, alienazioni di proprietà, gravami di servitù prediali o di usucapioni, spostamenti di assi ereditari, cessazioni di consuetudini vantaggiose o d’altri privilegi faticosamente acquisiti nel tempo.
L’antico detto “Datemi due righe di un galantuomo e ve lo manderò in galera” era trapassato, col conforto di esempi infiniti, nella norma del non firmare mai né per bene né per male. Ma diventava inevitabile, anche nella vita del contadino più cauto e più lontano dai negozi, l’apporre qualche firma: il dì delle nozze, al momento di una compravendita o alla fine della vita, quando occorreva provvedere ad una equa divisione dei propri beni. Casi estremi, occasioni e date memorande che la forma incoronava come un magico emblema, ma sempre con una certa diffidenza, come è di ogni cosa simbolica.
L’uomo, fin dai tempi della sua vita primitiva, dovette sempre temere di lasciare l’impronta del piede o della mano, alla vista della quale poteva venir riconosciuto, localizzato, scoperto e messo in pericolo. Col passare del tempo e col sopravvenire dei costumi civili, gli subentrò il timore di lasciare quell’altra incancellabile e innegabile traccia di sé che è la firma. Affidare ad estranei ciò che pertiene alla propria personalità è cosa alla quale rilutta ogni persona saggia; tanto è vero, che gli antichi imperatori della Cina, alla fine di ogni anno, volevano di ritorno tutti i rescritti inviati ai governatori delle loro provincie.
Solo i poeti gli scrittori, gli artisti e in genere gli uomini di qualche notorietà, distribuiscono firme a destra e a sinistra, favorendo cacciatori d’autografi, fanatici seguaci e ammiratori che vogliono portarsi a casa un frammento, una scaglia, dell’essere umano che hanno in qualche modo divinizzato.
Il rilasciare autografi è infatti un dare qualche cosa di sé, un concedere al culto una particola della propria essenza perché fortifichi e consolidi la devozione dei fedeli. Il che, se si giustifica in chi si crede oggetto di venerazione o almeno di “tifo” come l’artista e lo sportivo famoso, non ha senso per persone oscure, che da un segno propalatore della loro presenza nel mondo possono aspettarsi soltanto danno e nocumento.
I selvaggi che Magellano andava conoscendo nel suo viaggio intorno al mondo, nelle loro ingenuità credettero diabolica l’operazione dello scrivere; e il simile pensarono sempre padri e madri, fino al Settecento, se è vero che alle fanciulle non veniva insegnato a tener la penna per preservarle dai commerci epistolari, pronubi d’altri e più pericolosi commerci. Faccenda di gente infima, che non aveva nulla da perdere, i nobili ritennero lo scrivere, che disdegnavano e abbandonavo a segretari e amanuensi.
Solo oggi, che il leggere e lo scrivere è di tutti, la firma si appone da chiunque senza alcuna precauzione su qualunque pezzo di carta. Ma chi la verga così leggermente e con tanta indifferenza, sembra ormai consapevole della poca importanza che ha il qualificarsi e il farsi riconoscere in un mondo dove le singole personalità hanno perso valore e dove l’uomo si esprime per gruppi, partiti, concorrenti, sindacati, nazionalità, ideologie, razze ed altre categorie, che amalgamo in blocchi consistenze le troppo labili apparenze individuali e le sospingono unite e salde a nuove sorti, magnifiche come sempre e progressive.
Quando il cervello è in anticipo e decide cosa fare almeno sette secondi prima
L’inconscio è di sette secondi avanti
Altro che libero arbitrio, è il nostro inconscio a prendere le decisioni, prima ancora che noi realizziamo di averle prese. Il cervello “sa” in anticipo, circa sette/otto secondi, quale azione deve intraprendere, prima ancora che la persona sia consapevole della decisione stessa. Una scoperta sconcertante che arriva dalla Germania, dove un gruppo di ricercatori del Max Planck Institute per le scienze cognitive di Lipsia, guidati dal neuroscienziato John-Dylan Haynes, ha messo in discussione il principio di “libero arbitrio” nel corso del processo decisionale messo in atto dal soggetto.
Grazie a delle tecniche di risonanza magnetica funzionale, i ricercatori hanno osservato che le aree del cervello deputate al controllo dell’azione, si attivano circa 10 secondi prima che intervenga la coscienza. L’esperimento ha coinvolto 14 volontari a cui è stato chiesto di premere un bottone a scelta con la mano destra o sinistra, indicando esattamente il momento in cui la decisione veniva presa.
Analizzando i risultati è emerso che la corteccia prefrontale, la parte del cervello coinvolta nelle decisioni, si ‘accende’ sette secondi prima che il soggetto decida di premere il pulsante. E poiché le tecniche di imaging scontano un ritardo di circa 3 secondi, i neuroscienziati ritengono che si possa parlare di un lasso di tempo di circa 10 secondi tra la decisione e la consapevolezza di averla presa.
“Sembra che le nostre decisioni”, ha spiegato John Dylan Haynes, “siano predeterminate dall’inconscio, come se il nostro cervello le prendesse prima di noi”.
Questa scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Neuroscience, dicono gli autori, può servire a ‘leggere la mente’ in maniera più precisa: “Un giorno potrebbero esserci automobili in grado di capire con largo anticipo se il pilota vuole cambiare strada, ed eseguire da sole il comando”. L’uomo insomma è una semplice macchina biologica e si potrebbe pensare che la stragrande maggioranza delle nostre decisioni, avvengano in modo inconscio. Freud docet!.
Fonte tgcom24
https://sites.google.com/site/hayneslab/people/john-dylan-haynes
http://www.nature.com/neuro/journal/v11/n5/abs/nn.2112.html
È scomparso. Il nostro rapporto era magico.
È scomparso. Il nostro rapporto era magico. il mio amico Pietro.
È scomparso qualche giorno fa un grande amico, Pietro, Una splendida persona.
Pietro non era solo un’imprenditore importante nel panorama bergamasco ma l’uomo gentile che voleva passare a noi tutta la sua esperienza e la sua conoscenza. Un amico vero. Spesso riuscivamo a farci arrossire a vicenda. La prima volta che lo conobbi venni presentato e io, da persona rispettosa quale sono, usai il classico “Lei”: è così che si fa con le persone importanti! Lui delicatamente mi ammonì dicendomi subito tra amici non c’erano gerarchie e mi pregò per il futuro di chiamarlo Pietro.
Durante i suoi incontri davanti a immense platee, imperterrito come pochi, a un certo punto del suo coinvolgente discorso, citava la newsletter che aveva ricevuto da me e, se ero presente, mi ringraziava davanti a tutti. Trovava sempre delle parole appropriate e divertenti per spiegare la metafora contenuta nella newsletter. Mi ricorderò sempre quando Pietro ha citato la mia news sulle “mutandine”. Mi auguro che grazie a questa news Pietro abbia avuto la giusta intuizione. Secondo me l’ha avuta.
Pietro, so che tu ci puoi vedere e vorrei che tu sapessi che in tutti noi hai lasciato un grande esempio come uomo e come maestro, con particolare classe ed eleganza.
Grazie per averci insegnato come si progetta il futuro in questo mondo.
Charlie Chaplin raccontò al pubblico una storiella fantastica
Charlie Chaplin raccontò al pubblico una storiella fantastica e tutti incominciarono a ridere
Charlie ripeté la stessa storiella e solo pochi risero
Ripeté di nuovo la stessa storiella e questa volta nessuno rise
Allora disse queste parole stupende:
“Se non potete continuare a ridere per la stessa battuta, perché continuate a piangere per lo stesso problema?”
Godetevi ogni momento della vita..!! La vita è bella!
il 16 aprile 1889 nacque Charlie Chaplin – un buon giorno per raccogliere le sue 3 toccanti affermazioni:
(1) niente è permanente in questo mondo, nemmeno i dispiaceri;
(2) mi piace camminare sotto la pioggia, perché nessuno può vedere le mie lacrime;
(3) la giornata più sprecata della nostra vita è quella in cui non abbiamo riso.
Continua a sorridere e passa questo messaggio a quelli che vuoi veder sorridere
NOTE
Sir Charlie Spencer Chaplin costruì il suo successo su un personaggio: il vagabondo (The Tramp in inglese): un omino dalle raffinate maniere e la dignità di un gentiluomo, vestito di una stretta giacchetta, pantaloni e scarpe più grandi della sua misura, una bombetta e un bastone da passeggio in bambù. Spiccavano sempre i suoi baffetti e l’andatura ondeggiante era in qualche modo un ballerino. L’emotività sentimentale e il malinconico disincanto di fronte alla spietatezza e alle ingiustizie della società moderna, fecero di Charlot l’emblema della solitudine umana – in particolare delle classi sociali più emarginate – nell’era del progresso economico e industriale.
La nave e l’artigiano
C’era una nave che attraccò in un porto di un’isola sperduta nell’oceano Pacifico, aveva i motori in avaria e non poteva continuare il viaggio.
Una volta attraccati, il capitano si affaccio sul ponte e guardando la folla che stava sul molo ad osservare quella grande nave disse, c’è qualcuno tra di voi che s’intende di motori di questo tipo? Che sia in grado di ripararli?
Nessuno si faceva avanti. Passarono prima giorni e poi mesi, durante i quali nessun esperto, nessun ingegnere, nessun meccanico riuscì ad aggiustare e far ripartire il motore della lussuosa nave.
Più passava il tempo più il problema sembrava diventare irrisolvibile e nonostante i più rinomati esperti arrivassero da tutte le parti del mondo, con le più disparate tecnologie ed i metodi più all’avanguardia, nessuno era in grado di fornire la soluzione al capitano che, disperato, era arrivato a offrire una ricompensa di un milione di euro.
Una mattina arrivò voce dell’esistenza di un artigiano che fin da bambino aveva la passione delle navi e dei motori. Quest’uomo aveva dedicato tutta la sua esistenza a quel mondo, a osservare come i vecchi si prendevano cura delle loro navi, a studiare i metodi più innovativi per riparare i motori, e ogni minuto della sua vita era trascorso a trovare soluzioni per aggiustare navi.
Quando salì sulla nave disse al capitano: ” Io, penso di essere all’altezza di questo compito signore!”. Il capitano rispose: “Salga signore, che le faccio vedere i motori!”, una volta a bordo, lo portarono davanti alla sala motori, lui si mise davanti lo osservò, li ascoltò, li toccò per alcune ore poi chiese un martello, il capitano incredulo con un sorriso sarcastico gli pose il martello scuotendo la testa come se fosse pazzo e glielo diede.
Dopo pochi istanti l’artigiano diede una martellata al centro del motore, e.. stufff, stufff, grrrrrr, il motore si mise in moto perfettamente.
Il Capitano incredulo, gli chiese “quanto le devo buon uomo?”. “Un milione” disse l’uomo. “Ma come, per una martellata?” rispose il capitano, “No, 999.999 Euro sono per sapere dove dare la martellata. Un Euro per la martellata. signore!”
Dio ama come una mamma – Buona Santa Pasqua
Meravigliosa:Buona Santa Pasqua
Nel pancione di una mamma c’erano due bambini.
Uno chiese all’altro: “Ma tu ci credi in una vita dopo il parto?”
L’altro rispose: “Certo! Deve esserci qualcosa dopo il parto. Forse noi siamo qui per prepararci per quello che verrà più tardi”. “Sciocchezze” disse il primo “non c’è vita dopo il parto! Che tipo di vita sarebbe quella?”
Il secondo riprese: “Io non lo so, ma ci sarà più luce di qui. Forse potremo camminare con le nostre gambe e mangiare con le nostre bocche. Forse avremo altri sensi che non possiamo capire ora”.
Il primo replicò: “Questo è assurdo. Camminare è impossibile. E mangiare con la bocca!? Ridicolo! Il cordone ombelicale è tutto quello di cui abbiamo bisogno…e poi è troppo corto. La vita dopo il parto è fuori questione”.
Il secondo continuò ad insistitere: “Beh, io credo che ci sia qualcosa e forse diverso da quello che è qui. Forse la gente non avrà più bisogno di questo tubo”.
Il primo contestó: “Sciocchezze, e inoltre, se c’è davvero vita dopo il parto, allora, perché nessuno è mai tornato da lì? Il parto è la fine della vita e nel postparto non c’è nient’altro che oscurità, silenzio e oblio. Il parto non ci porterà da nessuna parte”.
“Beh, io non so” disse il secondo “ma sicuramente troveremo la mamma e lei si prenderà cura di noi”.
Il primo rispose: “Mamma? Tu credi davvero alla mamma? Questo si che è ridicolo. Se la mamma c’è, allora, dov’è ora?”
Il secondo riprese: “Lei è intorno a noi. Siamo circondati da lei. Noi siamo in lei. È per lei che viviamo. Senza di lei questo mondo non ci sarebbe e non potrebbe esistere”.
Riprese il primo: “Beh, io non posso vederla, quindi, è logico che lei non esiste”.
Al che il secondo rispose: “A volte, quando stai in silenzio, se ti concentri ad ascoltare veramente, si può notare la sua presenza e sentire la sua voce da lassù”.
Buona Santa Pasqua
P.s.
Grazie scrittore ungherese per aver scritto queste parole e ha spiegato l’esistenza di Dio
Grazie Mauro per avermi scritto e fatto conoscere questo pensiero.
Grazie Papa Francesco e tutti gli uomini di buona volontà che ti adoperano per la PACE nel MONDO.
Microespressioni e mind reading
Tecniche per riconoscere facilmente la verità
Ti piacerebbe riconoscere la verità con le persone con cui ti stai confrontando? Hai mai percepito che qualcuno ti comprendesse meglio? Che cosa sono le microespressioni?
Non si può mentire!
Normalmente diciamo tre bugie ogni dieci minuti.
Il vocabolario delle microespressioni. Come funziona?
È fantastico! È condotto da un team specializzato di “maghi di fama internazionale”.
Avete la sensibilità per “calibrare” e l’istinto per capire se qualcuno vi mente o vi dice la verità?
Capire quando dovete scegliere tra una persona o un’altra in pochi minuti per la vita, per il lavoro, è un esperienza utile?
CNV, Paraverbale, Verbale. Cosa à è il il 7+ o – 2?
Si può facilmente riconoscere chi ci sta mentendo, attraverso il linguaggio del corpo del nostro interlocutore, la scelta del suo vocabolario, le micro – espressioni del suo viso, la struttura delle sue frasi.
In questo corso imparerai le tecniche che ti permetteranno di diventare una vera e propria “macchina della verità”.
Finalmente un corso su misura per le esigenze di tutti.
Chiunque di noi è interessato a capire se chi ha di fronte è sincero e spontaneo.
Qualcuno invece ha bisogno di restare impassibile anche nelle situazioni più stressanti. In questo innovativo corso ti saranno svelati i segreti di un grande maestro di questa disciplina.
A chi è rivolto questo corso
Le tecniche presentate in Mind Reading possono essere applicabili a moltissimi ambiti, figure professionali differenti e non solo, tra cui:
Responsabile del personale – per inquadrare subito le diverse attitudini di ogni candidato, velocizzando il processo di selezione
Funzionario e impiegato – per capire con immediatezza se dare fiducia al cliente o per imparare a trasmettere affidabilità
Chi cerca lavoro o chiede un prestito – per esprimere al meglio le proprie capacità e apparire subito affidabile
Venditore – per valorizzare un prodotto senza che ciò venga percepito dal cliente come una forzatura o come qualcosa di non veritiero
Acquirente – per comprendere se e quando è il caso di comprare un determinato prodotto, senza farsi influenzare da chi lo pubblicizza o lo vende
Avvocato – per far sì che il cliente non abbia segreti
Personale medico o paramedico – per non influenzare inconsapevolmente il paziente
Psicoterapeuta – per stabilire una relazione di fiducia col paziente
Counselor – per entrare più facilmente in rapport col cliente
Insegnante – per gestire efficacemente il gruppo classe con particolare riguardo alle attitudini, capacità e abilità di ogni studente
Genitore – per comprendere i segnali di disagio, le richieste di attenzione o d’aiuto e sapere come trasmettere sicurezza e affetto nel modo corretto
E’ possibile decodificare le microespressioni con un semplice colpo d’occhio?
Con un giusto investimento di tempo ed energie, è possibile allenarsi in modo da rendere automatica la decodifica dei segnali. Nella maggior parte delle situazioni, le informazioni utili possono derivare da elementi che stanno al di fuori del linguaggio verbale ed è per questo che parliamo di Mind Reading. Ovviamente, puoi usare queste informazioni per capire meglio anche le tue stesse esperienze emotive, quello che hai in comune con gli altri e quello che ti distingue da loro. Puoi scoprire qual è la base dei sentimenti di chi ti sta vicino e che finora non hai compreso fino in fondo.
Sarebbe bello fare tutto questo, basandoti non più soltanto sull’esperienza soggettiva, ma sui risultati di studi approfonditi da numerosi ricercatori nel corso degli ultimi decenni.
Risultati concreti
Tra i contenuti del corso, potrai imparare:
• Il linguaggio del corpo
• Le micro – espressioni
• La calibrazione
• Gli accessi oculari
• L’enfasi psicolinguistica
• La percezione di scelta neurolinguistica
• Dissociazione e Associazione
• La tecnica del ponte
• La Time Line emozionale
• I comandi nascosti
• Le sequenze d’attacco
• Gli 11 colpi in canna
Perché fare questo corso?
Il corso Mind Reading fornisce una serie di elementi che consentono di rispondere tempestivamente ai segnali che l’altro ci invia, anche quando essi siano involontari.
Impara ad andare oltre le parole per comprendere a fondo ciò che gli altri ti trasmettono.
Scopri come farti capire senza tanti giri di parole.
Cogli le contraddizioni tra linguaggio verbale e non verbale
Decidi velocemente se credere o no a ciò che il tuo interlocutore sta dicendo.
E la tua vita da domani è già cambiata!
Trainer
I docenti del corso, sono impegnati da tempo nell’attività di “istruzione”, nel senso più pieno del termine, delle persone per renderle più sicure e attive nella vita di tutti i giorni. Da più di dieci anni, e con vasta eco mediatica, tiene corsi di “tecniche di anti – borseggio” a beneficio delle forze dell’ordine: Polizia, Carabinieri, Vigili Urbani e Guardia di Finanza.
Formazione:
16 ore
Un minuto tutto per me – Semplificare – parte 4/4
Un minuto tutto per me – Prendermi cura di “Me”
Era trascorsa una settimana da quando l’uomo si era accomiatato dallo zio, eppure non era felice come aveva sperato.
Aveva riletto gli appunti presi durante la conversazione, tuttavia trovava che una cosa era parlare di concedersi “un minuto tutto per sé” e una cosa era mettere in pratica quello stesso proposito.
Lui non l’aveva fatto.
“Forse non sono del tutto convinto che possa funzionare”, pensò l’uomo mentre era al volante della propria auto. “O forse è soltanto una questione di autodisciplina.”
Cambiare era molto più difficile di quanto avesse previsto. L’uomo dovette riconoscere che l’idea non gli piaceva affatto. Tuttavia sapeva anche che per raggiungere la felicità qualche cosa doveva pur cambiarla.
Decise di rileggere nuovamente gli appunti e di vedere che cosa si poteva tentare.
Nel frattempo spense la radio e pensò a quanto aveva detto lo zio.
Per qualche oscuro motivo l’uomo rammentò proprio le parole dello zio quando questi diceva che una delle cose che lui stesso aveva fatto era stato,
Lo zio aveva detto che bisognava cercare di ridurre ogni cosa alla sua essenza fondamentale.
Tuttavia l’uomo era convinto che la vita fosse assai più complicata, o in ogni caso la sua vita gli appariva difficile e irta di problemi, per cui il concetto gli riusciva ostico.
Comunque, visto che gli era impossibile rileggere gli appunti guidando, tentò di richiamare alla mente le idee più semplici ed essenziali.
Rammentò il discorso riguardante la differenza tra desideri e necessità reali e tra le speranze alimentate dalla nostra fantasia e la realtà che invece ci tocca accettare.
E rammentò altre cose che parevano costituire una tappa importane nella ricerca della felicità.
Ma non apparivano poi così semplici. “Qual è il concetto più semplice da mettere in pratica così su due piedi?” pensò l’uomo, e si sforzò di ricordare.
Proprio allora si stava avvicinando a un segnale di stop. L’uomo sorrise, adesso ricordava: si trattava di concedersi un minuto di pausa, domandarsi in che modo ci si potesse prender cura di sé e ascoltare in silenzio la propria voce interiore. Quella era davvero una cosa che poteva fare subito.
L’uomo guardò nello specchietto retrovisore e vide che non c’era nessuno dietro di lui. Allora se ne stette là fermo per un minuto intero.
Poi si domandò: Posso far qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?
Quindi seguì in silenzio il corso dei propri pensieri. E proprio mentre, fermo allo stop, guardava fuori dal parabrezza sudicio, l’uomo ebbe un fremito. “Bisogna che faccia lavare la macchina uno di questi giorni”, pensò.
L’uomo si sentiva decisamente più a proprio agio al volante di un’auto pulita. In effetti un’auto sporca, mal tenuta e male in arnese faceva sentire sporco e malandato anche lui, sebbene il più delle volte non se ne rendesse neppure conto. Però gli sembrava di avere sempre troppo da fare per prendersi la briga di farla lavare.
In realtà l’uomo si rese conto di aver avuto qualche volta l’intenzione di far lavare la propria auto, o perlomeno di riempire il serbatoio del tergicristallo. Ma poi si era sempre trovato qualcos’altro da fare, per cui finiva con l’ignorare la faccenda.
Però in quel momento stava guardando un paesaggio sporco e provava la netta sensazione di non aver fatto qualcosa che lo avrebbe reso più felice.
L’uomo guardò fuori attraverso il parabrezza lurido, vide che non c’era pericolo e mise in moto allontanandosi dallo stop. Già sapeva che cosa avrebbe fatto e si domandò perché avesse aspettato tanto tempo.
Si concesse una pausa per recarsi a una stazione di servizio, far lavare la macchina e riempire il serbatoio del tergicristallo. Telefonò alla moglie per avvertirla che avrebbe fatto tardi e gliene spiegò la ragione.
Quando fece per pagare con la sua principale carta di credito scoprì che non l’accettavano: l’inserviente fu irremovibile a tale proposito, voleva che pagasse in contanti.
In passato un contrattempo del genere al termine di una lunga giornata lavorativa lo avrebbe irritato.
Ora invece si sentiva proprio bene: era contento di aver dedicato un po’ di tempo a se stesso. L’auto sfavillava, avevano fatto un buon lavoro.
L’uomo sorrise, pagò in contanti e partì.
Poi pensò: “È incredibile quanto possa essere importante una cosa insignificante come lavare la macchina” e guardò allegramente fuori dal parabrezza pulito.