La firma – di Piero Chiara

Favoloso elzeviro dal Corriere della Sera, Mi ricordo di quante volte ho parlato di quest’articolo. Per me è un opera d’arte. Spettacolare, vi farà riflettere.

Quando si sente dire che un capufficio firma in un giorno trenta o quaranta lettere, che i dirigenti d’azienda, gli impiegati di banca o i funzionari dello Stato adoperano addirittura una firma ridotta ad uno sgorbio chiamato sigla per sottoscrivere ordini di servizio, buoni di consegna, certificazioni d’incasso, passaggi di valuta o di merce su centinaia di bollette e di moduli, ci si rende conto che l’uomo oggi firma con la stessa facilità con la quale fuma, tossisce, beve, soffia il naso o sputa, cioè senza riflettere, e soprattutto senza dare importanza alcuna all’atto che sta per compiere.

Ben altra cosa era il firmare fino a un po’ di anni fa. Intanto, nessuno firmava in piedi, come fanno oggi i vigili urbani, i ferrovieri, i destinatari di una raccomandata o d’un pacco e moltissimi magazzinieri o controllori, i quali si servono di blocchetti donde spiccano senza posa tagliandi con tanto di firma o sigla, mandandoli qua e là, come foglie portate dal vento.

La firma era, fino a non molti anni fa, una cerimonia vera e propria, che veniva compiuta quasi sempre in presenza di testimoni attentissimi, davanti a notai o magistrati, e a suggello di impegni assunti per tutta la vita. Nessuno sottoscriveva col cappello in testa o con indosso un cappotto. Chi firmava doveva mettersi a suo agio, ben seduto, non impedito dal giromanica d’un soprabito, col polso ben sciolto e, se era il caso, dopo aver inforcato un paio d’occhiali.

Era comunissimo, di persone anche d’importanza ma che non firmavano tutti i giorni, il compiere, prima di affrontare la carta bollata, un prova di scrittura sopra un foglietto qualsiasi. La prova serviva ad alleggerire il pennino di un possibile sovraccarico d’inchiostro che avrebbe potuto causare una macchia, una di quelle macchie dai bordi frastagliati e con una corona di spruzzi che gettavano l’angoscia nel cuore del firmatario; ma più che a riparare le conseguenze di uno sregolato intingere, lo sgorbio fatto come a caso su un pezzo di carta straccia a scaricare la tensione dello scrivente e a dar l’avvio al gesto fatidico della firma, col ghirigoro o lo svolazzo che la completava e la personalizzava.

Colui che firmava, poggiava una mano aperta sul foglio per tenerlo fermo, piegava il capo sul piano del tavolo, strabuzzava gli occhi e iniziava l’operazione senza poter trattenere una smorfia della bocca o delle guance, che seguivano con stiramenti o contrazioni l’andamento della mano, i suoi inceppi, le sue soste e la sua corsa finale verso un paraffa che riusciva sempre uguale o quasi, e si presentava, nel suo disegno astratto, come la sintesi grafica di un carattere, di un temperamento.

Innanzi alle corti di giustizia, davanti ai notai, agli ufficiali dello Stato Civile o a quelli di polizia, non era raro assistere alla firma di un popolano o di un contadino, la quale non era meno solenne e laboriosa di quella di un notabile. Il contadino, al quale fin dall’infanzia veniva raccomandato di non mai firmare e di non mai giurare, e che sapeva per esperienza sua o di suoi consanguinei quanto fosse irrimediabile l’impegno sottoscritto, avvicinandosi al tavolo dove l’aspettavano carta penna e calamaio, si sentiva mancare, Uomini che reggevano due buoi aggiogati all’aratro, che piegavano un ramo grosso quanto un braccio d’uomo, che con la vanga o la zappa rompevano e rivoltavano la terra, quando avevano nelle mani la penna sembravano aggravati da un peso insopportabile. Spesso, dopo aver vergato faticosamente la prima lettera del proprio cognome, alzavano il viso sfiniti come dopo un salasso e sulla loro fronte apparivano gocce di sudore. La fatica necessaria a costringere il braccio e la mano ad un troppo piccolo movimento, e la stessa necessità di uno spostamento contenuto della penna, rendevano ardua l’impresa.

Ma alle costrizione fisiche si sovrapponevano, ben più gravi, le repulsioni morali: la consapevolezza di assumere un impegno dal quale non si sarebbe mai potuto recedere, e l’impressione di abbandonare in mano altrui e non sempre amica o fidata qualche cosa di così intimamente legato alla persona, come è il geroglifico inimitabile del proprio nome e cognome. Ne veniva un complesso di inibizioni, di timori repressi, di nefaste previsioni per il futuro che formavano, sulle spalle di colui che firmava, un peso più grave di qualunque altra somma. E raro non era che da una di quelle firme scaturissero guai, perdite di danaro, alienazioni di proprietà, gravami di servitù prediali o di usucapioni, spostamenti di assi ereditari, cessazioni di consuetudini vantaggiose o d’altri privilegi faticosamente acquisiti nel tempo.

L’antico detto “Datemi due righe di un galantuomo e ve lo manderò in galera” era trapassato, col conforto di esempi infiniti, nella norma del non firmare mai né per bene né per male. Ma diventava inevitabile, anche nella vita del contadino più cauto e più lontano dai negozi, l’apporre qualche firma: il dì delle nozze, al momento di una compravendita o alla fine della vita, quando occorreva provvedere ad una equa divisione dei propri beni. Casi estremi, occasioni e date memorande che la forma incoronava come un magico emblema, ma sempre con una certa diffidenza, come è di ogni cosa simbolica.

 

L’uomo, fin dai tempi della sua vita primitiva, dovette sempre temere di lasciare l’impronta del piede o della mano, alla vista della quale poteva venir riconosciuto, localizzato, scoperto e messo in pericolo. Col passare del tempo e col sopravvenire dei costumi civili, gli subentrò il timore di lasciare quell’altra incancellabile e innegabile traccia di sé che è la firma. Affidare ad estranei ciò che pertiene alla propria personalità è cosa alla quale rilutta ogni persona saggia; tanto è vero, che gli antichi imperatori della Cina, alla fine di ogni anno, volevano di ritorno tutti i rescritti inviati ai governatori delle loro provincie.

Solo i poeti gli scrittori, gli artisti e in genere gli uomini di qualche notorietà, distribuiscono firme a destra e a sinistra, favorendo cacciatori d’autografi, fanatici seguaci e ammiratori che vogliono portarsi a casa un frammento, una scaglia, dell’essere umano che hanno in qualche modo divinizzato.

Il rilasciare autografi è infatti un dare qualche cosa di sé, un concedere al culto una particola della propria essenza perché fortifichi e consolidi la devozione dei fedeli. Il che, se si giustifica in chi si crede oggetto di venerazione o almeno di “tifo” come l’artista e lo sportivo famoso, non ha senso per persone oscure, che da un segno propalatore della loro presenza nel mondo possono aspettarsi soltanto danno e nocumento.

I selvaggi che Magellano andava conoscendo nel suo viaggio intorno al mondo, nelle loro ingenuità credettero diabolica l’operazione dello scrivere; e il simile pensarono sempre padri e madri, fino al Settecento, se è vero che alle fanciulle non veniva insegnato a tener la penna per preservarle dai commerci epistolari, pronubi d’altri e più pericolosi commerci. Faccenda di gente infima, che non aveva nulla da perdere, i nobili ritennero lo scrivere, che disdegnavano e abbandonavo a segretari e amanuensi.

Solo oggi, che il leggere e lo scrivere è di tutti, la firma si appone da chiunque senza alcuna precauzione su qualunque pezzo di carta. Ma chi la verga così leggermente e con tanta indifferenza, sembra ormai consapevole della poca importanza che ha il qualificarsi e il farsi riconoscere in un mondo dove le singole personalità hanno perso valore e dove l’uomo si esprime per gruppi, partiti, concorrenti, sindacati, nazionalità, ideologie, razze ed altre categorie, che amalgamo in blocchi consistenze le troppo labili apparenze individuali e le sospingono unite e salde a nuove sorti, magnifiche come sempre e progressive.

La nave e l’artigiano

C’era una nave che attraccò in un porto di un’isola sperduta nell’oceano Pacifico, aveva i motori in avaria e non poteva continuare il viaggio.

Una volta attraccati, il capitano si affaccio sul ponte e guardando la folla che stava sul molo ad osservare quella grande nave disse, c’è qualcuno tra di voi che s’intende di motori di questo tipo? Che sia in grado di ripararli?

Nessuno si faceva avanti. Passarono prima giorni e poi mesi, durante i quali nessun esperto, nessun ingegnere, nessun meccanico riuscì ad aggiustare e far ripartire il motore della lussuosa nave.

Più passava il tempo più il problema sembrava diventare irrisolvibile e nonostante i più rinomati esperti arrivassero da tutte le parti del mondo, con le più disparate tecnologie ed i metodi più all’avanguardia, nessuno era in grado di fornire la soluzione al capitano che, disperato, era arrivato a offrire una ricompensa di un milione di euro.

Una mattina arrivò voce dell’esistenza di un artigiano che fin da bambino aveva la passione delle navi e dei motori. Quest’uomo aveva dedicato tutta la sua esistenza a quel mondo, a osservare come i vecchi si prendevano cura delle loro navi, a studiare i metodi più innovativi per riparare i motori, e ogni minuto della sua vita era trascorso a trovare soluzioni per aggiustare navi.

Quando salì sulla nave disse al capitano: ” Io, penso di essere all’altezza di questo compito signore!”. Il capitano rispose: “Salga signore, che le faccio vedere i motori!”, una volta a bordo, lo portarono davanti alla sala motori, lui si mise davanti lo osservò, li ascoltò, li toccò per alcune ore poi chiese un martello, il capitano incredulo con un sorriso sarcastico gli pose il martello scuotendo la testa come se fosse pazzo e glielo diede.

Dopo pochi istanti l’artigiano diede una martellata al centro del motore, e.. stufff, stufff, grrrrrr, il motore si mise in moto perfettamente.

Il Capitano incredulo, gli chiese “quanto le devo buon uomo?”. “Un milione” disse l’uomo. “Ma come, per una martellata?” rispose il capitano, “No, 999.999 Euro sono per sapere dove dare la martellata. Un Euro per la martellata. signore!”

Un minuto tutto per me – Semplificare – parte 4/4

Un minuto tutto per me – Prendermi cura di “Me”

Era trascorsa una settimana da quando l’uomo si era accomiatato dallo zio, eppure non era felice come aveva sperato.

Aveva riletto gli appunti presi durante la conversazione, tuttavia trovava che una cosa era parlare di concedersi “un minuto tutto per sé” e una cosa era mettere in pratica quello stesso proposito.

Lui non l’aveva fatto.

“Forse non sono del tutto convinto che possa funzionare”, pensò l’uomo mentre era al volante della propria auto. “O forse è soltanto una questione di autodisciplina.”

Cambiare era molto più difficile di quanto avesse previsto. L’uomo dovette riconoscere che l’idea non gli piaceva affatto. Tuttavia sapeva anche che per raggiungere la felicità qualche cosa doveva pur cambiarla.

Decise di rileggere nuovamente gli appunti e di vedere che cosa si poteva tentare.

Nel frattempo spense la radio e pensò a quanto aveva detto lo zio.

Per qualche oscuro motivo l’uomo rammentò proprio le parole dello zio quando questi diceva che una delle cose che lui stesso aveva fatto era stato,

Lo zio aveva detto che bisognava cercare di ridurre ogni cosa alla sua essenza fondamentale.

Tuttavia l’uomo era convinto che la vita fosse assai più complicata, o in ogni caso la sua vita gli appariva difficile e irta di problemi, per cui il concetto gli riusciva ostico.

Comunque, visto che gli era impossibile rileggere gli appunti guidando, tentò di richiamare alla mente le idee più semplici ed essenziali.

Rammentò il discorso riguardante la differenza tra desideri e necessità reali e tra le speranze alimentate dalla nostra fantasia e la realtà che invece ci tocca accettare.

E rammentò altre cose che parevano costituire una tappa importane nella ricerca della felicità.

Ma non apparivano poi così semplici. “Qual è il concetto più semplice da mettere in pratica così su due piedi?” pensò l’uomo, e si sforzò di ricordare.

Proprio allora si stava avvicinando a un segnale di stop. L’uomo sorrise, adesso ricordava: si trattava di concedersi un minuto di pausa, domandarsi in che modo ci si potesse prender cura di sé e ascoltare in silenzio la propria voce interiore. Quella era davvero una cosa che poteva fare subito.

L’uomo guardò nello specchietto retrovisore e vide che non c’era nessuno dietro di lui. Allora se ne stette là fermo per un minuto intero.

Poi si domandò: Posso far qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?

Quindi seguì in silenzio il corso dei propri pensieri. E proprio mentre, fermo allo stop, guardava fuori dal parabrezza sudicio, l’uomo ebbe un fremito. “Bisogna che faccia lavare la macchina uno di questi giorni”, pensò.

L’uomo si sentiva decisamente più a proprio agio al volante di un’auto pulita. In effetti un’auto sporca, mal tenuta e male in arnese faceva sentire sporco e malandato anche lui, sebbene il più delle volte non se ne rendesse neppure conto. Però gli sembrava di avere sempre troppo da fare per prendersi la briga di farla lavare.

In realtà l’uomo si rese conto di aver avuto qualche volta l’intenzione di far lavare la propria auto, o perlomeno di riempire il serbatoio del tergicristallo. Ma poi si era sempre trovato qualcos’altro da fare, per cui finiva con l’ignorare la faccenda.

Però in quel momento stava guardando un paesaggio sporco e provava la netta sensazione di non aver fatto qualcosa che lo avrebbe reso più felice.

L’uomo guardò fuori attraverso il parabrezza lurido, vide che non c’era pericolo e mise in moto allontanandosi dallo stop. Già sapeva che cosa avrebbe fatto e si domandò perché avesse aspettato tanto tempo.

Si concesse una pausa per recarsi a una stazione di servizio, far lavare la macchina e riempire il serbatoio del tergicristallo. Telefonò alla moglie per avvertirla che avrebbe fatto tardi e gliene spiegò la ragione.

Quando fece per pagare con la sua principale carta di credito scoprì che non l’accettavano: l’inserviente fu irremovibile a tale proposito, voleva che pagasse in contanti.

In passato un contrattempo del genere al termine di una lunga giornata lavorativa lo avrebbe irritato.

Ora invece si sentiva proprio bene: era contento di aver dedicato un po’ di tempo a se stesso. L’auto sfavillava, avevano fatto un buon lavoro.

L’uomo sorrise, pagò in contanti e partì.

Poi pensò: “È incredibile quanto possa essere importante una cosa insignificante come lavare la macchina” e guardò allegramente fuori dal parabrezza pulito.

Un minuto tutto per me – Prendermi cura di “Me” – parte 3/4

Un minuto tutto per me

“Ecco, queste sono le piccole cose di cui ti parlavo. In pratica il significato è questo”, e così dicendo porse al nipote una targa che teneva sulla scrivania del suo studio. Sopra c’era scritto:

Tratto me stesso nel modo in cui vorrei che gli altri mi trattassero

“E che cosa vuol dire?” domandò l’uomo.

“Quando ho la sensazione di non essere trattato nel modo giusto”, disse lo zio, “allora penso a come sto trattando me stesso.

“La mia vita è felice proprio perché mi sono preso cura di me stesso per quanto riguarda questi fattori così importanti per la nostra esistenza. A volte mi viene da pensare che la gente non sia del tutto leale nei miei confronti. In genere si tratta di piccolezze, eppure non amo particolarmente essere trattato in maniera ingiusta.”

“Capisco quello che provi”, disse il giovane.

“Ma non appena mi concedo un istante di pausa e mi rendo conto che mi sento vittima di qualcuno, capisco chi è il mio persecutore”.

“Sei tu?” provò a indovinare il nipote.

“Si, sono io”, confermò lo zio. “Subito mi ricordo che posso essere il migliore amico e insieme il peggiore nemico di me stesso. Tutto dipende da che cosa decido di fare o di pensare.”

”Per esempio che cosa potresti fare?”

“Non mi piace che gli altri abbiano l’impressione che non sono all’altezza delle loro aspettative. È come se non fossi mai in grado idi soddisfare le loro esigenze.

Perciò evito di pormi obiettivi troppo rigidi e di confrontarmi con un’immagine a cui ritengo di dover corrispondere. Se provo un senso di delusione in genere è perché non ho ottenuto da me stesso ciò che pretendevo di ottenere.

“Ho imparato a non aspettarmi di riuscire a realizzare quelle feste che sono perfette soltanto nella mia fantasia, con tanto di cibarie, candele, gaudio e tripudio di amici e familiari.

“Ora per me si tratta di un momento in cui rendere grazie per ciò che già possiedo.”

Rammento la scarsa riuscita delle proprie feste, l’uomo disse: “Ma allora la frustrazione e l’infelicità stanno a simboleggiare la differenza che passa tra fantasia e realtà”.

“Sì”, confermò lo zio. “Adesso mi limito ad apprezzare qualunque cosa mi capiti, senza per questo pretendere di fare confronti con ciò che sono convito dovrebbe accadere. È perché adesso so che questa sensazione così dolorosa proviene dal fatto che percepisco la differenza che passa tra la realtà e ciò che io mi aspetto da essa.”

L’uomo disse: “Così, mettendo da parte i sogni e imparando ad apprezzare quel che c’è di buone nella realtà, sarò anche più felice.”

“Nel mio caso funziona”, aggiunse lo zio.

Poi proseguì: “Un altro modo di prendermi cura di me stesso consiste nell’esaminare i miei desideri alla luce delle mie necessità”.

“E qual è la differenza, zio?”

“Una necessità, è qualcosa di cui abbiamo bisogno per il nostro benessere. Un desiderio è qualcosa che speriamo possa darci la felicità, anche se spesso non è così. Possiamo desiderare una caramella, però abbiamo bisogno di ossigeno. Lo stesso accade con il binomio successo e felicità. Sono molti coloro che hanno ottenuto il successo ma non la felicità: essi hanno scoperto a proprie spese che l’aver perseguito e raggiunto un obbiettivo non significa necessariamente essere felici. Sono soddisfatto quanto ottengo ciò che voglio, ma sono felice quando desidero ciò che riesco a conseguire. E inoltre, vedo le cose con maggiore chiarezza se mi concedo una pausa e prendo in considerazione ciò per cui sto lottando.”

Lo zio fece una pausa così da consentire al nipote di comprendere a fondo l’importanza di quanto stava per dire. “Non ne avremo mai abbastanza di ciò che è superfluo.”

“È come desiderare del denaro e una volta che lo si ha scoprire che non ci rende felici come speravamo e tuttavia desiderane sempre di più, con l’illusione che questo finalmente possa appagarci.”

“Ma allora, zio, come fai a capire quali sono le tue reali necessità?”

“Dedicandomi un po’ di tempo per prendere in esame ciò che mi rende felice sul serio. A volte mi sento in vena di scrivere e persino di analizzare ciò che ho scritto. Altre volte, invece, faccio semplicemente una passeggiata e ascolto in silenzio la voce della mia mente. Ogni qualvolta mi concedo un minuto di pausa e mi domando: ‘Ho davvero bisogno di ciò che sto inseguendo?’, spesso poi smetto di insistere con quell’obiettivo.”

L’uomo disse: “Tutto questo mi fa venire in mente quando stavo imparando ad andare in deltaplano. Avevo visto un ragazzo che cercava di volare mentre da terra il suo istruttore gli gridava: ‘Stati attento alle auto nel parcheggio! Attento a non andare a sbattere contro quella macchina verde” Ho detto stati attento a non andare a sbattere contro…!’ Indovina un po’ dove è andato a planare il ragazzo?

“Dritto sulla macchina verde. Il mio istruttore a quel punto si era voltato verso di me e mi aveva detto: ‘Che questo ti serva da lezione. Non guardare mai in una direzione che non vuoi prendere’.

“Ora incomincio a capire. È così che si combatte lo stress: evitando di mirare al superfluo”.

“Naturalmente, come credi che tu e io ci sentiremmo se avessimo lavorato sodo per ottenere qualcosa e finalmente l’avessimo ottenuta, salvo poi scoprire che in realtà non ne avevamo affatto bisogno?”

“Sarei deluso”, disse l’uomo. “Forse addirittura depresso. Perciò vale davvero la pensa di sospendere tutto e prendere in esame la situazione.”

“Precisamente! E se consono io a concedermi una pausa e pensare a ciò che è meglio per me, chi altri lo può fare?

“È semplicissimo. Quanto più mi prendo cura di me stesso, tanto più ho la sensazione di essere oggetto di attenzioni.”

“E quando le cose ti vanno storte, zio, che cosa fai? In che modo ti prendi cura di te stesso?”

“Passo in rassegna tutto il male che mi è capitato finché non trovo qualcosa di positivo. Potresti farlo anche tu in circostanze analoghe.”

L’uomo disse: “Ci proverò. Ma posso chiederti ancora quale altro accorgimento funziona nel tuo caso?”

“Ma certo. Vedi, io mi semplifico l’esistenza”, disse lo zio. “È un metodo rapido per diminuire lo stress. Procedo per eliminazione finché non trovo ciò che essenzialmente mi rende felice.

“E una volta raggiunta la felicità, cerco di mantenerla. Quanto più la mia vita è semplice, tanto più risulta armoniosa.”

“E come fai, zio, a semplificarti l’esistenza?”

Questi rispose in tono di sfida: “Di nuovo penso che girerò a te la domanda: sei tu che devi trovare da solo il metodo più adatto alle tue esigenze”

Lo zio si alzò e si mise a camminare. “Per questa mattina ti dedicherò ancora un po’ del mio tempo, ma poi ho intenzione di fare ricreazione.”

“Ricreazione?” chiese il nipote.

Lo zio rispose: “Far ricreazione è come ridere. È uno dei metodi più efficaci di prendersi cura di se stessi.

“Far ricreazione è per il corpo ciò che un atteggiamento ottimista è per lo spirito. Mi piace giocare a tennis con gli amici e farmi una nuotatina veloce con la zia”.

Il nipote sorrise: “Ho un amico che credo proprio ti piacerebbe. Di certo la sua vita non è delle più facili, eppure è una delle persone più ottimiste di questa terra: pensa che la vita sia un gioco.

“La mattina, ancora prima di aprire gli occhi, stende sempre le braccia tutt’intorno a sé. Dice che se non si imbatte nelle pareti di una bara, allora quella sarà nuovamente una giornata fantastica!”

Lo zio rise. “Il trucco sta tutto nell’atteggiamento. Il modo in cui si guarda alla vita probabilmente costituisce da solo la ricetta migliore per prendersi cura di sé. La prospettiva che se ne ricava può annientare oppure plasmare un’esistenza.”

“Con l’età e, spero, con quel po’ di saggezza in più che avrò pur acquisito”, aggiunse lo zio, “sono giunto alla conclusione che nella mia vita esistono fondamentalmente due generi di emozioni, una positiva, ed è l’amore, e l’altra negativa, cioè la paura. L’una è determinata dall’assenza dell’altra è probabile che tutte le altre emozioni non siano che una variante di queste due.”

“Allora che cos’è l’ansia?” domandò l’uomo.

Lo zio rispose: “L’ansia è la paura dell’ignoto. Ogni qualvolta trascuro me stesso, mi rendo conto del fatto che è la paura a farmi comportare in quel modo.

“Quando invece scelgo di agire per amore”, aggiunse, “mi sento amato e quindi felice.

“Così nel prendere una decisione”, concluse, “mi domando: ‘Lo sto facendo per amore o per paura?’

“Nel caso in cui le mie decisioni siano dettate dalla paura, allora i risultati, che io ne sia cosciente o meno, non cono poi molto positivi”.

L’uomo ammise tra sé che era lo stesso anche per lui.

“Quando invece prendo una decisione dietro l’impulso dell’amore (che è assenza di paura), allora mi sento bene, e questo ancor prima di sapere come andrà a finire.

“Un altro modo di prendermi cura di me stesso è anche quello di privarmi di parte del mio tempo e del mio denaro.”

“E come funziona?”

“Ebbene”, disse lo zio, “dare via un po’ del mio denaro oppure del mio tempo mi aiuta a ricordare che non ho paura di restarne senza. Sono convinto che quel che ho mi può bastare.”

Lo zio soggiunse: “è quando ho paura cerco in ogni caso di prendere le mie decisioni senza lasciarmi influenzare da essa. Mi piace la sensazione che si prova a non trovarsi in preda al panico. E poi amo aiutare il mio prossimo”.

Le argomentazioni dello zio erano così logiche, che l’uomo si domandò se avrebbe mai imparato a prendersi cura di sé in maniera efficace.

“Perché vedi”, disse lo Zio, “quando mi privo di un po’ del mio tempo oppure del mio denaro questo mi ricorda che non ho paura. So che me ne resterà sempre a sufficienza per poterlo dividere con gli altri.”

E, come se fosse in grado di leggere nel pensiero del nipote, lo Zio disse: “Lascia che ti racconti un fatto accaduto veramente. Quando era ancora giovane, al nostro vicino di casa venne offerto un lavoro a New York. Non sapendo se accettare o meno, questi chiese consiglio a un anziano e saggio signore.

“L’anziano signore gli disse: “Vai a New York da solo, fai tutto il viaggio in treno. Non portarti nulla da leggere e nulla da scrivere; spegni il telefono. Prenota uno scompartimento privato e fatti servire tutti i pasti dal personale. Non parlare con nessuno. Ecco, questo è il mio consiglio”.

“Il mio vicino mi disse che ben presto ebbe a pentirsi di avere accettato quel consiglio, tuttavia decise lo stesso di seguirlo.”

“Dopo qualche giorno era già stanco di ammirare il paesaggio. Allora che cosa credi che fece?”

“Naturalmente”, disse lo Zio. “Si concesse una pausa sufficientemente lunga da potersi occupare di se stesso, lasciando che la risposta giungesse da sola, spontaneamente. Quando arrivò a New York sapeva che avrebbe accettato l’offerta e così fece: ebbe un successo strepitoso.”

“Quindi aveva sempre avuto la risposta dentro di sé?”

“Certo. E l’uomo saggio sapeva che lo avrebbe scoperto da solo”.

“Nel momento in cui il mio vicino decise di trascorrere un po’ di tempo in compagnia di se stesso in tutta tranquillità, fu anche in grado di vedere qual era la cosa migliore per lui.”

“Questo lo aiutò anche a occuparsi maggiormente della propria famiglia, e lo stesso vale per noi.”

“Tutti sappiamo che cosa fare per il nostro bene: abbiamo soltanto bisogno di rallentare un po’ il ritmo, abbastanza da poterci prendere cura di noi stessi.”

“E ora indovina un po’ che cosa ti consiglierò di fare.”

L’uomo sorrise e disse: “Bene, Zio, qualcosa mi dice che farò una specie di viaggio in treno, tutto solo”.

Un minuto tutto per me – parte 2/4

Un minuto tutto per me

Non appena ebbe messo piede in casa dello zio, l’uomo ne avvertì il sorriso su di sé; quando si fu messo a proprio agio gli domandò: “Zio, sei felice?”

Lo zio disse: “Sono molto felice, però devo ammettere che è così soltanto da qualche anno a questa parte. Ricordo che vi fu un tempo in cui mi sentivo completamente fuori dalla realtà”.

“Se non è una domanda troppo personale, zio, posso chiederti in che modo sei diventato così felice””

“È facile”, rispose lo zio.

“A dire il vero, ogni qualvolta una situazione si complica e mi si confondono le idee riesco a superare l’ostacolo ricordandomi che se si tratta di una faccenda intricata, quello è già in parte un problema. Se invece è una cosa semplice, allora potrebbe anche risolversi da sola.”

“Un tempo”, continuò lo zio, “la maggior parte dei problemi mi parevano complessi. Una volta trovata la risposta, però, questa di solito si rivelava semplicissima. Anzi, talvolta la risposta è vergognosamente ovvia.”

“La verità nuda e cruda”, concluse, “è che mi sono sentito più felice nel momento in cui ho iniziato a prendermi cura sia di me stesso che degli altri.”

Questo l’uomo non se l’aspettava.

“E che cosa ti ha reso più felice”, domandò, “prenderti cura di te stesso oppure degli altri?”

“Si tratta di due fattori così legati l’uno all’altro”, fece notare l’anziano signore, “che non si possono neppure separare.”

“Penso che il massimo della felicità io lo raggiunga quando riesco a controbilanciare questi due elementi così importanti. Talvolta, infatti, è meglio curarsi innanzitutto degli altri, mentre invece in altri casi è più utile occuparsi per prima cosa di se stessi.”

“Il bello è che la tecnica che adotto per prendermi cura di me stesso in genere è efficace anche con gli altri.”

“In fondo, pensare al nostro prossimo è un modo di prendersi cura di noi stessi, ci dà forza e serenità.”

“Le cose non andavano per il verso giusto perché mi preoccupavo troppo di compiacere gli altri e mi dimenticavo di fare altrettanto con me stesso. Ora mi divido equamente le due parti.”

“E, ironia della sorte, da quando ho preso ad occuparmi maggiormente di me stesso la gente mi dice di trovarsi meglio in mia compagnia. ”

“Io stesso sono più contento di me, e così pure degli altri; e anch’essi mi apprezzano maggiormente, come pure si trovano più a proprio agio in compagnia di se stessi.”

L’uomo era scettico: “Mi pare tutto troppo semplice e troppo bello per essere vero. Forse sto ancora dibattendomi in mezzo a problemi irrisolti, però mi sembra che la vita sia molto più complicata”.

Lo zio rispose: “Non ti biasimo per i tuoi dubbi, ma la verità è che questo segreto è talmente semplice e banale e insieme così efficace che una volta messo in pratica tutti ne traggono benefico!”

Come a voler chiarire ulteriormente il concetto, lo zio scrisse con calma qualcosa su un foglio che poi passò al nipote. L’uomo vi lesse queste parole:

 

Prima ancora di occuparmi con successo di qualcosa o di qualcuno, devo soprattutto prendermi cura di me stesso.

Lo zio disse: “’Me stesso’ è quello che io sono. ‘Te stesso’”, ammiccò, “è quello che sei tu. Dentro di noi siamo diversi quanto lo sono le nostre impronte digitali. Siamo entrambi unici e speciali, come d’altronde qualunque altro essere umano sulla faccia della terra.

“È di questa ‘essenza’ che ciascuno di noi deve prendersi cura”.

Il nipote chiese: “E perché ha tanta importanza?” siamo più vivi e più sereni. E se ci sentiamo meglio noi, riusciamo anche ad aiutare il nostro prossimo in maniera più efficace.”

Lo zio proseguì: “Alcuni anni fa mi resi conto che il concetto di felicità mi diventava più chiaro se prendevo in esame il suo esatto opposto. Per esempio, che cosa pensi che provino quelle persone che sono così infelici da soffrire sempre di gravi forme di depressione?”

L’uomo rispose: “Probabilmente per loro assolutamente nulla ha importanza, che si tratti di se stessi, della loro prossimo oppure di ciò che li circonda”.

“Verissimo”, convenne lo zio. “Per loro nulla ha importanza. E come credi che si senta chi si trova accanto a una persona per cui nulla ha importanza”.

L’uomo sorrise e disse: “Deve essere piuttosto deprimente”.

Lo zio osservò: “Puoi dunque capire come chi si trascura a livelli così estremi in definitiva non sia utile al suo prossimo. Se si curasse un po’ di più di sé non sarebbe meglio anche per gli altri?”

Mentre l’uomo rifletteva lo zio domandò: “Qual è il primo segnale che indica che un ‘malato’ è in via di guarigione?”

L’uomo capì e rispose: “forse quando ricomincia a prendersi cura della propria persona. Per esempio si pettina”.

Lo zio annuì. “Certo. Chi è sano si prende cura della propria persona. Chi non sta bene non lo fa.”

Poi aggiunse: “E allora, che cosa credi che io abbia fatto?”

Dopo un attimo, rispose da sé alla propria domanda: “Presi a considerare me stesso come un giardiniere. Anche tu, se vuoi, puoi farlo.

“Immagina di essere il giardiniere di un bel giardino situato in una magnifica tenuta: la gente viene da tutto il mondo per ammirare la tua opera.

“Cerca di vedere con gli occhi della mente quanto è elegante il risultato delle tue fatiche. Cerca di immaginare che cosa provi dentro di te. Senti come profuma d’aria”.

Lo zio fece una pausa, lasciando che la scena si dissolvesse. “Come ci si sente a essere un giardiniere del genere?”

L’uomo pensò: “Bene. Mi sento bene”.

Lo zio disse: “So di aver raggiunto un stato di equilibrio quando riesco a individuare tre zone principali all’interno del mio giardino e cioè: ‘Me’, ‘Te’ e ‘Noi’”.

“Cosi”, disse il nipote, “in pratica tendi a vedere te stesso come qualcuno che si occupa del suo Me, del suo Te e del suo Noi”.

“Certo”, rispose lo zio. “’Me’ è me stesso. ‘Te’ è il ‘me stesso’ che c’è in te”, aggiunse facendo un cenno con il capo. “Le tue e le mie necessità sono fondamentalmente le stesse, quindi pensando a te riesco anche a capire ciò di cui il tuo ‘io’ ha bisogno.”

Poi, toccando il mappamondo che era sistemato in un angolo della stanza concluse, “E ‘Noi’ è il tipo di rapporto che si instaura tra me e te, qualunque sia la natura di questo ‘Te’, sia esso un membro della mia famiglia o di un collega di lavoro oppure un estraneo che vive dall’altra parte del globo”.

Lo zio era circondato da un’aura di pace e di energia.

L’uomo sentì che doveva saperne di più. “Mi diresti qualcosa riguardo alla prima parte della tua filosofia, quella che riguarda il prendersi cura di sé?”.

“Usciamo in giardino”, suggerì lo zio. “Godiamoci un po’ di sole.”

Quando fu in giardino l’uomo si guardò attorno: udiva l’acqua scorrere e vide fiori stupendi; ovunque regnavano pace e tranquillità. Ora incominciava a capire in che modo il suo ruolo di giardiniere potesse arricchirlo spiritualmente.

Lo zio rifletté: “Osservando questo giardino è difficile ricordare il tempo in cui ero così infelice”.

“Che cos’è che non andava?” chiese l’uomo.

“Semplicemente trascuravo me stesso. A tutta prima non capivo che cosa non funzionasse. Non riuscivo neppure a godere dei miei successi, della mia famiglia, degli amici.

“Poi, considerando la cosa più da vicino, compresi che il lavoro contava più della famiglia, e che la famiglia contava più di me stesso. Insomma, il mio equilibrio vitale stava andando a rotoli soltanto per colpa mia.”

L’uomo chiese: “E allora che cosa facesti?”

“Una cosa banalissima: incominciai a prendere l’abitudine di interrompere ciò che stavo facendo più volte al giorno per dedicare un minuto tutto a me stesso.”

“Un minuto non è poi molto”, protesto l’uomo.

“Eppure è abbastanza per darti la felicità”, replicò lo zio. “Dai un’occhiata all’orologio, poi mettiti tranquillamente a sedere e non guardarlo più finché non ti pare che sia trascorso un minuto esatto – non un secondo di più e non uno di meno.”

L’anziano signore attese che il nipote portasse a termine l’esperimento in tutta calma. Sapeva che cosa sarebbe accaduto.

Dopo quello che gli era parso un minuto, il nipote guardò l’orologio. Era sorpreso: “Soltanto trentotto secondi! Esclamò. “Un minuto è più lungo di quanto pensassi”.

Lo zio sorrise: succedeva sempre così. “Se ci fermiamo e ce ne stiamo tranquilli, un minuto è un periodo di tempo piuttosto lungo.”

“Perché poi un minuto?” domandò il nipote.

Lo zio spiegò: “Perché una pausa di un minuto trascorsa in compagnia di noi stessi ci consente prima di tutto di prendere coscienza di ciò che stiamo facendo e in seguito ci permette di scegliere il metodo più efficace per prenderci cura di noi stessi e degli altri.

“A parte tutto ciò che faccio per curarmi di ‘Me’ di ‘Te’ e di ‘Noi’, è quel minuto in più che dedico a me stesso e agli altri che cambia davvero tutto quanto”.

L’uomo voleva sapere di più. “M come fai?” chiese.

Lo zio disse: “Non faccio altro che fermarmi e ‘mi’ domando in tutta calma: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante? Sembra incredibile, però funziona.

“Quando mi concedo queste pause, riesco a intravedere una soluzione migliore, e appena posso la metto in pratica”.

“E come fai a prenderti cura del tuo ‘Te’ in un minuto solo?”

“Incoraggio Te – il ‘Me’ che c’è in ‘Te’ – a vedere che siamo l’uno uguale all’altro. Anche tu hai bisogno di prenderti cura di te stesso. Allora ti invito a fermarti per un minuto e a domandarti con calma ciò che io domando a me stesso: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?

“Questo perché anche tu hai la risposta dentro di te”, concluse lo zio. “E anche tu meriti di poterti arricchire spiritualmente.”

L’uomo chiese: “E come ci si prende cura di ‘Noi’?”

“Io incito ciascuno di noi a dedicare un po’ di tempo a se stesso e a domandarsi: Sto forse pretendendo l’impossibile dall’altra persona oppure dal rapporto che ci lega? Sto forse chiedendo a questa persona di prendersi cura di me, oppure abbiamo entrambi intenzione di dedicarci maggiormente a noi stessi migliorando così il nostro rapporto?

Il nipote ebbe un dubbio: “Ma com’è possibile che un metodo così semplice e spiccio sia tanto efficace?”

“Vedi”, disse lo zio, “prendere in esame il proprio comportamento oppure i propri pensieri per un minuto, ma seriamente e senza indugiare, porta a un risultato validissimo, perché in questo modo siamo in condizione di ascoltare la voce della saggezza che c’è in noi.

“Fermarsi più volte nel corso della giornata prendendo in considerazione ciò che si sta facendo è come guidare in città e fermarsi agli stop. Gli stop ci aiutano a giungere sani e salvi a destinazione.”

L’uomo comprese. “Certo, perché se ci fermiamo e ci guardiamo attorno evitiamo di andare a sbattere da qualche parte e di farci del male.”

“Sicuro”, disse lo zio. “Mi fermo, mi guardo attorno e vedo che ho possibilità di scelta. Posso proseguire oppure cambiare direzione oppure ancora fare tutto ciò che ritengo più opportuno per il mio bene.

“E poi”, aggiunse lo zio, “sarà più difficile che vada a sbattere contro altre persone che transitano al mio stesso incrocio facendo loro del male. In questo modo aiuto me stesso e gli altri.

“Dedicare un minuto a me stesso, quando me ne ricordo, si è rivelato un metodo infallibile del mio caso.

“Quasi sempre trovo che la risposta al mio problema è dentro di me. La verità è che ciascuno di noi sa che cosa è meglio per se stesso. Basta soltanto prendersi una pausa sufficientemente lunga per riuscire a scoprirlo.”

L’uomo incomincia a rendersi conto che probabilmente lo zio sapeva qualcosa che valeva la pena ricordare. Si armò di carta e penna e chiese: “Ti dispiace se prendo nota di alcune cose?”

Lo zio si fece più preciso. “Incominciamo dal principio, dal prendersi cura di “Me”. Poi passeremo a quello che secondo me è un livello superiore, e cioè prendersi cura di ‘Te’, e infine a prendersi cura di ‘Noi’. Come vedi, ciascun livello si fonda sul precedente e questo allo scopo di raggiungere il reciproco equilibrio.”

L’uomo chiese: “Ma tu che cosa fai?”

“Che cosa fare è la parte meno complicata dell’intera faccenda”, rispose lo zio. “Una volta stabilito di fare ogni giorno qualcosa per prendermi cura di ‘Me’, ecco che scopro un’infinita varietà di metodi attraverso cui realizzare il mio proponimento. Cerco semplicemente di occuparmi di me stesso con la stessa frequenza e nella stessa misura in cui mi occupo degli altri.

“Di qualunque cosa si tratti, a ogni modo, mi dà l’impressione che ci sia qualcuno che si prende cura di me, e questo mi rende felice.

“È probabile, tuttavia, che quel che tu fai per te stesso sia diverso da quel che faccio io. In effetti, caro nipote, una parte della gioia che si prova consiste proprio nell’individuare quel meccanismo che è efficace esclusivamente nel nostro caso.

“Personalmente, la mia ricetta può variare di settimana in settimana; in genere, però, inizia sempre allo stesso modo.

“Per prima cosa mi concedo un minuto da dedicare tutto a me stesso nel corso della giornata e poi mi domando: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?

“Una volta stabilito questo, poi tutto dipende da quel che sto facendo, oppure da ciò che mi passava per la mente al momento di formulare la domanda. Di solito si tratta di qualcosa che modifica il mio comportamento oppure il mio modo di pensare.

Il nipote chiese: “Non potresti fornirmi qualche esempio più concreto, zio?”

“Sicuro”, disse lo zio, “ricordo ancora quando mi pareva di non avere abbastanza tempo da dedicare a me stesso durante il giorno.

“Tutto ciò mi irritava parecchio, ma proprio allora mi concessi un minuto di pausa ed esaminai con calma la situazione. Così decisi che invece di tenere il muso mi sari alzato un’ora prima al mattino. Quell’ora sarebbe diventata la ‘mia’ ora e ne avrei fatto ciò che più mi piaceva.”

Lo zio sorrise. “Ricordo la prima volta che tentai l’esperimento. Ero stanco e non volevo affatto alzarmi dal letto. Rammento che ancora mezzo addormentato mi domandai: ‘Ma non ci sarà un altro modo”

“Stabilii di alzarmi soltanto quindici minuti prima del solito, aumentando la dose ogni settimana per quattro settimane di seguito. In capo a un mese avevo un’ora tutta per me ogni giorno.”

“E che cosa facevi in quell’ora?” chiese l’uomo.

“Non è questo il punto”, disse lo zio. “Non ha nessuna importanza. Ciò che importa veramente è che tu faccia qualcosa per te stesso”.

Lo zio allora ribadì la propria affermazione così da sottolineare il concetto.

“Ciò che si fa non ha importanza. Sono le piccole cose che modificano l’esistenza, piccole cose di cui magari nessun altro si accorge.”

Poi lo zio disse: “Quando sono esaurito, quando mi sento sopraffare dagli avvenimenti e mi viene a mancare la visone globale delle cose, mi pongo un’altra domanda semplicissima: ‘Ma in capo a dieci anni tutto questo avrà ancora importanza?’”

L’uomo fece un cenno del capo. “Scommetto che ora come ora le piccole cose senza importanza sono meno di prima e ti senti anche più sereno.”

“È vero” confermò lo zio.

“E faccio un’altra cosa”, aggiunse l’anziano signore. “Rido: più rido, più mi sento vivo e felice. Ricordo di aver ascoltato alla radio un fantastico programma di varietà. Ho riso così di gusto e mi ha fatto sentire così bene che mi sono comprato l’audio per ascoltarla in auto. In questo modo mi posso godere il programma mentre guido e viaggiare di buonumore.”

L’uomo disse: “Ricordo che eri una persona serissima; ora invece ridi molto più spesso. Che cosa ti è successo?”

Lo zio rispose: “Fortunatamente avevo un amico con un gran senso dell’umorismo. Osservandolo mi sono reso conto di come questo avesse migliorato la sua esistenza. Anche lui, come me, era oberato dal lavoro, eppure ciò non pareva pesargli. Allora ho deciso di abbracciare anch’io quella sua filosofica così scanzonata.

Rammento una volta che ero proprio giù e il mio amico mi domandò che cosa mi sentivo. Risposi che avevo una gran voglia di nascondermi.

“’Benissimo’, disse lui. Poi mi chiese se in casa avessi un ripostiglio. Certo che lo avevo. Allora lui disse: “È il posto ideale’. ‘Per che cosa?’ domandai io.

“’Per nascondersi’, disse lui. ‘Vai nel ripostiglio, portati dietro un sedia bella comoda e chiudi la porta.’”

Lo zio rise e proseguì: “Ben presto mi resi conto di quanto il mio piccolo dramma fosse ridicolo e smisi di rimuginarci sopra.”

“Così, ridere di se stessi è un buon modo di prendersi cura di sé”, osservò l’uomo.

“Si, certo”, fece lo zio. “Anzi, ti dirò di più, io rido in compagnia di me stesso. Mi diverto alle sciocchezze che faccio, alle mie imperfezioni, al mio essere ‘umano’.

“Però c’è un trucchetto”, aggiunse lo zio.

“Qual è?” chiese l’uomo.

“Quando mi prendo troppo sul serio”, disse lo zio, “come ovviamente facevo un tempo, allora immagino che su in cielo ci sia un Dio che si diverta a osservarmi perché gli piacciono gli uomini e anche perché mi vuol bene davvero.

“All’improvviso scoppia in una risata e grida rivolto a uno dei suoi compari: ‘Ehi, vieni qui. Guarda un po’ che cosa sta facendo lo zio! Che sagoma!’”

L’uomo rise: “Me ne ricorderò”.

Lo zio proseguì: “Ridere di me stesso e fare qualche piccola cosa tutta per me mi fanno proprio sentir bene”.

Poi aggiunse: “Ma tu volevi degli esempi. Talvolta cambio abitudini e salto il pranzo. Faccio una passeggiata, oppure mi compro una piccola cosa. Ricordo che una volta addirittura andai in una pinacoteca alle undici del mattino, per poi ritornare in ufficio a lavorare durante la pausa del pranzo.

“Intraprendo delle piccole spedizioni nei dintorni. Vado in posti in cui non sono mai stato prima soltanto per scoprire che cosa provo a essere là. Magari si tratta di una zona della città che di solito non frequento, oppure di un negozio in cui non ho mia messo piede. Il cambiamento mi fa sentire vivo e sviluppa il mio senso dell’avventura.

Un minuto tutto per me – la ricerca – parte 1/4

Riporto una storia in quattro brevi articoli. Uno al giorno. Eccola. Da leggere in quattro giorni. Un poco alla volta

Un minuto tutto per me – La ricerca

C’era una volta un uomo che voleva essere più felice di quello che era e desiderava che anche gli altri lo fossero.

Era una situazione frustrante, perché l’uomo aveva fatto del suo meglio per procurare la felicità sia a se stesso che agli altri; eppure, nonostante tutti i suoi sforzi, non riusciva a ottenere quello che voleva. L’uomo si era fatto scettico.

Quando era da solo non si sentiva in pace con se stesso come avrebbe desiderato.

Anche nei suoi rapporti con gli altri, in famiglia e sul lavoro, pareva mancare qualcosa di importante.

La cosa migliore che gli potesse accadere era deludere le aspettative che lui stesso oppure altri si erano posti nei suoi confronti. In caso contrario, invece, faceva del male al suo prossimo, anche se in genere non era consapevole.

L’uomo si domandava se sarebbe mai riuscito a scoprire il segreto della felicità.

Tuttavia ne sapeva abbastanza in proposito per rendersi conto, che se mai l’avesse trovata, la felicità sarebbe stata comunque dentro di lui.

Nel frattempo, l’uomo cercava qualcuno che l’avesse già scoperta e lo potesse quindi far partecipe del proprio segreto.

Dopo aver interpellato molte persone l’uomo comprese che gran parte di esse provavano i suoi stessi sentimenti. Pochissimi sembravano davvero felici, tuttavia non volevano dividere con lui il proprio segreto, oppure non ne erano capaci.

Eppure l’uomo sapeva di dover trovare una risposta al più presto, per il bene proprio di quanti gli vivevano accanto o lavoravano con lui.

Si augurava di riuscire a scovare qualcuno che conoscesse quella risposta, che l’avesse vissuta in prima persona e gliela potesse spiegare con un esempio pratico.

“Forse”, pensava, “è un segreto troppo intimo perché possa essere diviso con un estraneo. Se soltanto conoscessi qualcuno…”

Poi di colpo gli venne in mente qualcuno che conosceva molto bene e che era felice e fortunato.

Lo “Zio”, come tutti in famiglia lo chiamavano, pareva possedere proprio tutti i requisiti necessari, dalla buona salute e una solida ricchezza. Eppure l’uomo aveva sentito dire che non era stato sempre così. Lo zio conduceva una vita felice sia in famiglia che nell’ambito della società.

Pareva sempre contento, e lo stesso accadeva a quanti gli stavano accanto. L’uomo rammentò quanto egli stesso si sentisse sereno in compagnia dello zio.

Lo zio pareva conoscere il modo di rendere felice se stesso e gli altri.

Si domandò come mai in precedenza non avesse mai parlato con lui se non superficialmente: si era sempre trattato di conversazioni futili durante le riunioni di famiglia.

Gli telefonò e gli chiese se poteva vederlo: stabilirono di incontrarsi il giorno seguente.

SADAE – Cos’è? – Il tempo e la vita sono le cose più preziose che abbiamo

SADAE è la Sindrome da Attenzione Deficitaria Attivata dall’avanzare dell’Età.
Si manifesta così:
Poniamo il caso che tu decida di lavare la macchina. Mentre ti avvii al garage vedi che c’è della posta sul mobiletto dell’entrata.
Decidi quindi di controllare prima la posta. Lasci le chiavi della macchina sul mobiletto per buttare le buste vuote e la pubblicità nella spazzatura e ti rendi conto che il secchio è strapieno. Tra la posta hai trovato una fattura e decidi di approfittare del fatto che esci a buttare la spazzatura per andare fino in banca, visto che sta dietro l’angolo, per pagare la fattura. Cerchi in tasca il portafoglio, ma non c’è. Sali in camera a prenderlo e sul comodino trovi una lattina di coca che stavi bevendo poco prima e che avevi dimenticato lì. La sposti per cercare il portafoglio e senti che è calda. Allora decidi di portarla in frigo. Mentre esci dalla camera vedi sul comò i fiori che ti ha regalato tua figlia e ti ricordi che li devi mettere in acqua. Posi la coca sul comò, e lì trovi gli occhiali da vista che è tutta la mattina che cerchi. Decidi di portarli nello studio dopo aver messo i fiori nell’acqua. Vai in cucina a cercare un vaso e con la coda dell’occhio vedi un telecomando. Ti ricordi che ieri sera siete diventati pazzi cercandolo e decidi di portarlo in sala, al suo posto!! Appoggi gli occhiali sul frigo, non trovi nulla per i fiori, prendi un bicchiere alto e lo riempi di acqua… intanto li metterai qui dentro. Torni in camera con il bicchiere in mano, posi il telecomando sul comò e metti i fiori nel recipiente, che non è adatto e naturalmente….. ti cade un bel po´ di acqua….. mannaggia!!! Riprendi il telecomando in mano e vai in cucina a prendere uno straccio. Lasci il telecomando sul tavolo della cucina ed esci ………….
…cerchi di ricordarti che dovevi fare con lo straccio che hai in mano……

Conclusione:
– sono trascorse due ore;
– non hai lavato la macchina;
– non hai pagato la fattura;
– il secchio della spazzatura è ancora pieno;
– c’è una lattina di coca calda sul comò;
– non hai messo i fiori in un vaso decente;
– non sai dove hai messo il portafoglio;
– non trovi più il telecomando della televisione;
– non trovi più nemmeno i tuoi occhiali;
– c’è una macchiaccia sul parquet in camera da letto e …….
– non hai idea di dove siano le chiavi della macchina!!

Ti fermi a pensare: come può essere? Non ho fatto nulla tutta la mattina, ma non ho avuto un momento di respiro……mah!!

Fammi un favore rimanda questo messaggio a chi conosci perché io non
mi ricordo più a chi l’ho mandato.

Se c’è qualcuno che ha meno di 10 anni non rida perché la sindrome vi colpirà. A meno che tu voglia

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È imprudente pagare troppo, ma peggio ancora è pagare troppo poco. John Ruskin

John Ruskin

John Ruskin era uno scrittore molto prolifico del 19º secolo, nato a Londra, 8 febbraio 1819 – e morto a Brantwood, 20 gennaio 1900, ho fatto stampare due delle sue citazioni su due biglietti che a volte mostro i clienti che provano a trattare sul prezzo.

Le citazioni fanno sempre il loro lavoro.

È imprudente pagare troppo, ma peggio ancora e pagare troppo poco.

Quando paghi troppo perdi un po’ di soldi, è vero, ma è tutto qui.

Quando invece paghi troppo poco, rischi di perdere tutto, perché ciò che hai comprato non è in grado di fare il lavoro per cui l’avevi acquistato.

La legge comune degli affari nega la possibilità di pagare poco e ottenere molto.

Ciò non può accadere.

Se tratti con l’offerente meno caro, è bene che tu preveda una certa riserva per coprirti dal rischio che corri.

Ma se poi fare ciò, avrai certamente abbastanza danaro per comperare qualcosa di meglio.

Il mondo è pieno di cose che gli uomini possono fabbricare leggermente peggio, per venderle ad un prezzo leggermente inferiore.

Coloro che considerano solo il prezzo, diventano preda legittima di questi uomini.

Il Signor John Ruskin, Dio lo benedica, ha arginato molte preoccupazioni dei clienti con le sue parole sagge.

Non sono tanti quelli che si sentono a proprio agio nel ruolo di prede legittime di qualcun altro.

Pulizia del fegato – Lavaggio Epatico del fegato e della cistifellea

Ieri due carissimi amici mi hanno chiesto come funziona questo trattamento e vorrei condividerlo con voi.

Personalmente ne ho avuto un grande beneficio quando a marzo dell’anno scorso, dopo aver passato due giorni in ospedale e prima di non essere operato per l’asportazione della cistifellea (ho deciso di dimettermi), ho seguito questo trattamento. Massimiliano, mio amico e socio per la promozione dell’acqua alcalina ionizzata è stato un genio. Fuori sono “usciti” circa 300 calcoli. Non provare ma fare per credere.

Cercate su internet e credeteci da soli.

Tratto dal libro

Guarire il Fegato con il Lavaggio Epatico

Il trattamento naturale più efficace per eliminare i calcoli e ritrovare il benessere attraverso la depurazione di Andreas Moritz

La pulizia del fegato

Depurare il fegato e la colecisti dalla presenza di calcoli epatici costituisce uno dei più importanti e potenti approcci che potete mettere in atto per migliorare il vostro stato di salute. La pulizia epatica richiede sei giorni di preparazione, seguiti da 16-20 ore di lavaggio effettivo. Per procedere alla rimozione dei calcoli biliari e necessario procurarsi quanto elencato di seguito:

  • Succo di mela
    • 6 confezioni da 1 litro
  • Sale inglese *
    • 120 g. (4 cucchiai da tavola) disciolti 720 ml di acqua
  • Olio extravergine di oliva spremuto a freddo
    • 120 ml
  • Succo di spremuta di pompelmo (meglio rosa) o spremuta fresca di limone e arancia
    • 180 ml
  • Brocca da 1 litro circa
  • Brocca da 1/2 litro circa, munita di coperchio

Procuratevi i sali di Epsom o sale inglese (magnesio solfato eptaidrato) per use orale. Alcune etichette lo descrivono come lassativo naturale. Se non lo trovate, usate il citrato di magnesio.

“Ho optato per il “bicchiere” invece della tazza come unità di misura scopo di evitare confusione sul significato che il termine “tazza” prende nei diversi continenti.

“Se non tollerate il succo di pompelmo o se questo tende a darvi nausea, potete utilizzare quantità equivalenti di succo di arancia e limone appena spremuti. L’effetto e lo stesso.

PREPARAZIONE

Bevete un litro di succo di mela confezionato (oppure vedi le altre opzioni descritte più avanti) al giorno per un periodo di sei giorni (è possibile bere in quantità maggiori se la cosa non infastidisce).

L’acido malico presente nel succo di mela ammorbidisce i calcoli e ne semplifica il passaggio attraverso i dotti biliari. Il succo di mela ha un forte effetto depurativo: alcuni soggetti particolarmente sensibili potrebbero accusare gonfiore e, a volte, diarrea nei primissimi giorni. La maggior parte dei casi di diarrea, in realtà, rappresentano bile stagnante rilasciata dal fegato e dalla cistifellea (contraddistinta da un colore marrone giallognolo). Gli effetti di fermentazione del succo aiutano ad allargare i dotti biliari: se questo risulta in qualche modo fastidioso, è possibile diluire il succo di mela con acqua o usare le altre opzioni.

Sorseggiate il succo di mela lentamente durante il giorno, tra i pasti (evitate di berlo durante o appena prima dei pasti, per due ore dopo gli stessi e la sera), oltre alla quantità di acqua normalmente consumata (da sei a otto bicchieri).

Attenzione: utilizzate preferibilmente succo di mela biologico, sebbene qualsiasi buona marca di succo di mela in commercio, concentrato di mela o sidro siano adeguati per gli scopi del lavaggio epatico.

Può essere utile sciacquarsi la bocca con bicarbonato di sodio        e/o lavarsi i denti più volte al giorno per evitare che l’acido li danneggi. (Nel caso siate intolleranti o allergici al succo di mela, vedi le altre opzioni al paragrafo “Difficolta con il lavaggio” al temine di questo capitolo).

RACCOMANDAZIONI DIETETICHE

Durante l’intera settimana di preparazione e lavaggio evitate di consumare cibi o bevande freddi o gelati in quanto raffreddano il fegato e di conseguenza, riducono l’efficacia del lavaggio stesso.

Tutti i cibi e le bevande dovrebbero essere caldi o almeno a temperatura ambiente.

Per consentire al fegato di prepararsi al lavaggio principale, cercate di evitare cibi di origine animale, latticini e fritti; consumate pasti normali, ma evitate di mangiare in eccesso.

IL PERIODO MIGLIORE PER IL LAVAGGIO.

Il momento migliore per effettuare la parte principale e finale del lavaggio epatico e durante il fine settimana, quando non siete sotto pressione e avete abbastanza tempo per riposarvi. Pur essendo efficace in qualsiasi parte del mese, il lavaggio dovrebbe preferibilmente coincidere con un giorno compreso fra la luna piena e la luna nuova. Cercate di evitare il lavaggio nei giorni   di luna piena (in questi giorni il corpo tende a trattenere maggiormente i liquidi nel cervello e nei tessuti). Il giorno di luna nuova e il più indicato per la pulizia e la guarigione.

SE ASSUMETE FARMACI: mentre vi sottoponete a un lavaggio epatico, evitate di assumere farmaci, vitamine o integratori che non siano assolutamente necessari. E importante non sovraccaricare il fegato con lavoro extra che possa interferire con il tentativo di depurazione.

ASSICURATEVI DI SVUOTARE IL COLON PRIMA E DOPO UN LAVAGGIO EPATICO

Avere movimenti intestinali regolari non è necessariamente un’indicazione del fatto che il vostro intestino non sia ostruito. La pulizia del colon, eseguita qualche giorno prima o, meglio ancora, nel sesto giorno di preparazione, contribuisce a evitare o ridurre al minimo qualsiasi forma di malessere o nausea che possa insorgere durante l’effettivo lavaggio epatico: impedisce il reflusso della miscela di olio di prodotti di scarto dal tratto intestinale alto stomaco e assiste il corpo nella rapida eliminazione dei calcoli biliari. L’irrigazione del colon (idrocolonterapia) e il metodo più veloce e semplice per preparare il colon a un lavaggio epatico. L’irrigazione con la tavola da colema è il secondo metodo preferito.

IL VERO E PROPRIO LAVAGGIO

6° GIORNO

Cosa dovete fare il sesto giorno di assunzione del succo di mela: bevete tutto il litro di succo nel corso della mattinata; potete iniziare a berlo appena svegli.

A COLAZIONE

Se sentite fame al mattino, fate una colazione leggera con cereali caldi: la farina di avena e la scelta migliore. Evitate gli zuccheri o altri dolci, spezie, latte, burro, olio, yogurt, formaggio, prosciutto, uova, noci, paste e cereali crudi, ecc. Frutta e succhi di frutta sono l’ideale.

A PRANZO

Mangiate verdura cotta o al vapore con riso bianco (preferibilmente riso Basmati) e insaporitelo con poco sale marino o salgemma non raffinati. Ripeto: non consumate cibi proteici, burro o olio, o potreste sentirvi male durante il lavaggio. NON MANGIATE O BEVETE NULLA (ECCETTO (‘ACQUA) DOPO LE 13.30, altrimenti avrete difficoltà a espellere i calcoli!

Seguite l’esatto programma descritto di seguito.

La sera

Aggiungete e miscelate quattro cucchiai di sali di Epsom (solfato di magnesio) a tre bicchieri da 240 ml l’uno di acqua filtrata (per un totale di 720 ml) in una brocca: in questa avrete cosi quattro porzioni da 180 ml (3/4 di bicchiere).

Ore 18:00 – Bevete la prima porzione (3/4 di bicchiere): potete bere qualche sorso di acqua subito dopo per eliminare l’amaro in bocca oppure aggiungere un po’ di succo di limone per migliorare ii sapore. Alcune persone lo bevono con una grossa cannuccia di plastica per saltare il coinvolgimento delle papille gustative sulla lingua; per molti va bene tapparsi il naso mentre bevono. Inoltre, può essere utile lavarsi i denti subito dopo o sciacquare la bocca con bicarbonato di sodio. Uno dei compiti principali dei sali di Epsom e quello di dilatare (allargare) i dotti biliari rendendo più semplice il passaggio dei calcoli. (Se siete allergici ai sali di Epsom o non riuscite a ingerirli, potete usare le stesse dosi di citrato di magnesio.) Togliete dal frigorifero gli agrumi che sarete successivamente, di modo che possano scaldarsi a temperatura ambiente.

Ore 20:00 – Bevete la seconda dose (3/4 di bicchiere) di sali di Epsom.

Ore 21:00 – Se non avete avvertito alcun movimento intestinale fino a ora e non avete completato lo svuotamento del colon durante le ventiquattro ore trascorse, fate un clistere di acqua che darà il via a una serie di movimenti intestinali.

Ore 21:45 – Lavate bene i pompelmi (o i limoni e le arance), spremeteli con le mani e rimuovete la polpa. Avrete bisogno di 3/4 di bicchiere di succo: versate il succo e 1/2 bicchiere di olio di oliva nella brocca da mezzo litro circa, chiudetela bene e scuotetela forte per una ventina di volte o fino a quando la soluzione non sarà ben diluita. L’ideale sarebbe bere questa miscela alle 22:00, ma se avvertite ancora la necessità di andare in bagno, potete ritardare questa fase di altri 10 minuti.

Ore 22:00 – Posizionatevi al fianco del letto (non sedetevi) e bevete il preparato, se possibile, tutto di un fiato. Alcune persone preferiscono berlo utilizzando una grande cannuccia di plastica. Pare che il metodo più efficace consiste nel berlo tappandosi il naso. Se necessario, assumete un po’ di miele tra un sorso e l’altro per aiutarvi a ingerire la miscela. La maggior parte delle persone, tuttavia, non ha problemi a berlo tutto d’un fiato: comunque non impiegateci più di 5 minuti (solo le persone anziane o deboli potranno impiegarci di più).

SDRAIATEVI IMMEDIATAMENTE!

Questa azione e fondamentale per aiutare il rilascio dei calcoli biliari. Spegnete la luce e rimanete distesi sulla schiena con uno o due cuscini sotto la testa affinché questa sia leggermente rialzata rispetto all’addome. Se questa posizione vi risulta scomoda, giratevi sul fianco destro con le ginocchia piegate versa la testa. Rimanete sdraiati perfettamente immobili per almeno 20 minuti e cercate di non parlare! Concentrate l’attenzione sul vostro legato. Alcune persone trovano beneficio nell’applicare un impacco di olio di ricino sul fegato.

Probabilmente sentirete i calcoli passare lungo i dotti biliari come delle biglie. Non avvertirete alcun dolore poiché il magnesio presente nel sale inglese tiene ben aperte e rilassate le valvole dei dotti biliari e la bile espulsa insieme ai calcoli mantiene i dotti biliari ben lubrificati (la situazione e ben diversa in caso di un attacco alla colecisti senza l’intervento del magnesio e della bile). Quindi, se potete, dormite.

Se in qualsiasi momento della notte avvertite l’assoluta necessità di defecare, fatelo. Controllate se vi sono già dei piccoli calcoli biliari (di color verde pisello o marrone chiaro) che galleggiano nel water. Potreste avvertire un senso di nausea durante la notte e nelle prime ore della mattina: questa e dovuto soprattutto a una forte e improvvisa espulsione di numerosi calcoli biliari e tossine dal fegato e dalla colecisti che spingono di nuovo la miscela di olio nello stomaco. La nausea passerà col trascorrere della mattinata.

II mattino dopo

Ore 6:00-6:30 – Appena svegli, ma non prima delle 6.00, bevete la terza porzione di sali di Epsom (se avete molta sete bevete un bicchiere di acqua tiepida prima di assumere il sale). Rilassatevi, leggete o meditate; se avete sonno tornate a letto, sebbene sia meglio mantenere il corpo in posizione eretta: molte persone si sentono benissimo e preferiscono fare qualche esercizio leggero, come per esempio lo yoga.

Ore 8:00-8:30 – Bevete la quarta e ultima porzione di sali di Epsom.

Ore 10:00-10:30 – A quest’ora potete bere la spremuta di frutta appena fatta; mezz’ora dopo potete mangiare uno o due pezzi di frutta fresca; un’ora dopo potete mangiare cibo normale (purché leggero) ed entro sera o la mattina seguente dovreste ritornare alla normalità e iniziare a sentire i primi segni di miglioramento. Continuate a consumare pasti leggeri durante i giorni seguenti e ricordate: il vostro fegato e la vostra cistifellea hanno subito un importante intervento chirurgico senza effetti collaterali dannosi e senza costi.

N.B.: bevete acqua ogni volta che avete sete, ma non subito dopo aver bevuto i sali di Epsom e nelle prime due ore successive all’assunzione della miscela oleosa.

I RISULTATI CHE VI POTETE ASPETTARE

Durate le ore della mattina (e forse del pomeriggio) successive al lavaggio avvertirete numerosi movimenti intestinali liquidi che inizialmente consisteranno di calcoli biliari mescolati a residui di cibo e poi solo di calcoli misti ad acqua. La maggior parte dei calcoli e di colore verde pisello e galleggia nel water in quanto contiene componenti biliari. I calcoli presentano diverse tonalità di verde e possono essere di colore vivace o lucidi come pietre preziose. Solo la bile secreta dal fegato pus conferire questo colore verde. I calcoli possono presentarsi con dimensioni, colori e forme diverse: quelli dal colore tenue sono i più recenti, mentre quelli di colore verde scuro sono i più vecchi; alcuni sono grandi come un pisello, altri più piccoli, e altri ancora raggiungono addirittura i due o tre centimetri di diametro. Si possono contare a dozzine e, a volte, perfino a centinaia (di dimensioni e colori diversi) che vengono espulsi in una volta sola.

Fate attenzione anche ai calcoli di color marrone chiaro e bianco, perché alcuni tra quelli più grandi possono depositarsi sul fondo del water insieme alle feci: si tratta di calcoli biliari calcificati che sono stati rilasciati dalla cistifellea e contengono sostanze tossiche più pesanti con solo piccole quantità di colesterolo. Tutti i calcoli di colore verde e giallastro sono soffici come stucco grazie all’azione del succo di mele. Potreste anche rilevare uno strato di scarto color marrone chiaro o bianco oppure di “schiuma” nel water: la schiuma è costituita da milioni di piccolissimi cristalli di colesterolo molto appuntiti e di color bianco che posso no facilmente danneggiare i dotti biliari e la cui espulsione e ugualmente importante.

Cercate di fare una stima approssimativa di quanti calcoli avete eliminato. Per curare in modo permanente borsiti, dolori di schiena, allergie e altri problemi di salute, e quindi prevenire l’insorgere di ulteriori malattie, e necessario rimuovere tutti i calcoli. Questa operazione potrebbe richiedere almeno da otto a dodici lavaggi da eseguirsi a intervalli di tre settimane oppure mensilmente (non eseguite il lavaggio con una frequenza superiore a quella indicata!). L’intervallo di tre settimane fra un lavaggio e l’altro può includere i sei giorni di preparazione, ma l’ideale sarebbe ricominciare dopo che sono trascorse le tre settimane. Se non riuscite a eseguire i lavaggi con questa cadenza, potete lasciar passare un po’ di tempo tra una operazione di pulizia e l’altra.

È importante ricordare che una volta iniziato il lavaggio del fegato, dovrete proseguire fino a quando per due lavaggi consecutivi non verranno più espulsi calcoli. Lasciare il fegato semi-depurato per un lungo periodo di tempo (tre o più mesi), infatti, può causare malesseri maggiori di quanti si avrebbero se il fegato non fosse mai stato sottoposto a depurazione. Il fegato, nel suo complesso, inizierà a funzionare più efficacemente subito dopo i1 primo lavaggio e potrete notare immediatamente improvvisi miglioramenti, a volte addirittura nel giro di poche ore. I dolori diminuiranno, l’energia aumenterà e la lucidità mentale migliorerà notevolmente.

Tuttavia, nell’arco di qualche giorno i calcoli posizionati nella parte posteriore del fegato si sposteranno “in avanti” verso i due maggiori dotti biliari che si dipartono dal fegato, e ciò potrebbe dare l’impressione di accusare alcuni dei sintomi di malessere provati in precedenza. Potreste infatti sentirvi delusi perché la ripresa sembra di breve durata, ma tutto questo indica semplicemente che sono rimasti dei calcoli pronti per essere rimossi con il prossimo ciclo di lavaggio. Nondimeno, le risposte di depurazione e autoriparazione del fegato aumenteranno notevolmente aggiungendo sempre maggiore efficacia a questo importantissimo organo del corpo. Finché ci saranno ancora calcoli in movimento all’interno dei dotti biliari più piccoli verso quelli più grandi, essi si potranno combinare dando origine a calcoli di dimensioni ancora maggiori per riprodurre i sintomi già precedentemente accusati, tra cui mal di schiena, mal di testa, mal di orecchie, problemi digestivi, gonfiore, irritabilità, rabbia, ecc., sebbene in forma più leggera rispetto a prima.

Se due lavaggi consecutivi non producono più calcoli (questo solitamente accade dopo 6-8 lavaggi; oltre 10-12 per i casi gravi), il vostro fegato può ritenersi in ottime condizioni. Tuttavia, si raccomanda di ripetere il lavaggio epatico ogni sei o otto mesi: ogni procedura dara nuovi stimoli al fegato ed eliminerà le tossine o i nuovi calcoli accumulati nel frattempo. Attenzione: non sottoponetevi mai a un lavaggio epatico se soffrite di una patologia in fase acuta, anche se si tratta di un semplice raffreddore. Tuttavia, se soffrite di malattie croniche, depurare il vostro fegato può essere la cosa migliore che possiate fare per voi stessi.

Importante! Leggere attentamente.

Il lavaggio epatico e un metodo incomparabile e assolutamente efficace per recuperare il proprio stato di salute: se seguirete le istruzioni alla lettera, non correrete alcun rischio. Per favore, prendete le istruzioni molto seriamente: alcune persone che hanno eseguito il lavaggio epatico eseguendo la procedura suggerita da amici o trovata su Internet hanno avuto delle complicazioni inutili perché non avevano una conoscenza completa della procedura stessa e di come funziona, mentre ritenevano che la sola espulsione dei calcoli dal fegato e dalla cistifellea fosse sufficiente.

È probabile che alcuni calcoli biliari rimangano bloccati nel colon durante la fase di espulsione; questi calcoli possono essere rimossi rapidamente attraverso l’irrigazione del colon, da eseguirsi preferibilmente il secondo o terzo giorno dopo il lavaggio epatico. Se i calcoli epatici rimangono nel colon, possono causare irritazione, infezione, mal di testa e malessere addominale, problemi tiroidei, ecc., e, alla fine, diventare addirittura una fonte di tossiemia nell’organismo. Se non sono disponibili preparati per il colon nel luogo dove risiedete, potete fare un clistere di caffe seguito da uno di acqua, oppure due clisteri di acqua consecutive: tuttavia, questo non garantisce la rimozione di tutti i calcoli rimasti. Non esiste un vero sostituto all’irrigazione del colon, eseguire un clistere usando la tavola da colema, tuttavia, costituisce il modo migliore per avvicinarsi molto a una procedura di irrigazione del colon professionale. Se decidete di optare per una soluzione di compromesso che non sia una vera irrigazione del colon, mescolate un cucchiaino di sali di Epsom con un bicchiere di acqua tiepida e bevetelo appena alzati il giorno in cui deciderete di sottoporvi allo svuotamento del colon.

L’importanza del lavaggio di colon e reni

Sebbene il lavaggio epatico sia, di per se, in grado di produrre risultati davvero impressionanti, l’ideale sarebbe effettuarlo successivamente a un lavaggio del colon e dei reni. Lo svuotamento del colon (vedere anche la sezione “Preparazione”) garantisce che i calcoli biliari espulsi vengano facilmente rimossi dall’intestino crasso, mentre il lavaggio renale assicura che le tossine provenienti dal fegato durante il lavaggio epatico non pesino su questi organi escretori vitali. Tuttavia, se non avete mai avuto problemi renali, calcoli renali, infezioni alla vescica, ecc., potete procedere con la sequenza lavaggio del colon/lavaggio epatico/lavaggio del colon. Assicuratevi, comunque, di sottoporvi anche a un lavaggio renale in un momento successivo, trascorso qualche tempo dopo i primi 2-4 lavaggi epatici e di nuovo, dopo che il vostro fegato sarà stato completamente depurato (vedere anche “Il lavaggio renale” nel Capitolo 5). Altrimenti potete bere una tazza di to per i reni (vedi la ricetta nella sezione “II lavaggio renale”) per due o tre giorni successivi a ogni lavaggio epatico. Seguite le stesse istruzioni indicate per il lavaggio renale principale. Il lavaggio renale e quello epatico possono essere praticati contemporaneamente, ma assicuratevi di non bere il to renale il giorno in cui praticate il lavaggio del fegato.

I soggetti il cui colon e gravemente congestionato o che presentano un’anamnesi di costipazione, dovrebbero considerare l’idea di effettuare almeno due o tre lavaggi del colon prima di sottoporsi al primo lavaggio epatico. Ricordate, quindi, che e molto importante svuotare il colon entro tre giorni dal completamento di ogni lavaggio epatico, perché la rimozione di calcoli biliari dal fegato e dalla colecisti può lasciare alcuni residui di calcoli e tossine nel colon, che vanno eliminati completamente per giovare al vostro stato di salute.

Quando bere acqua durante il lavaggio

Ancora una volta, ricordatevi che potete bere acqua in qualsiasi momento del lavaggio epatico, tranne immediatamente prima e dopo l’assunzione dei sali di Epsom (lasciate passare circa 20 minuti). Evitate di bere acqua anche dalle 21:30 alle 2 del mattino (nel caso in cui vi alzaste). In tutti gli altri casi potete bere ogni volta che avete sete.

AVETE DIFFICOLTA CON IL LAVAGGIO?

Intolleranza al succo di mela

Se per qualche motivo non tollerate il succo di mela      (o le mele), potete sostituirlo con le erbe Gold Coin Grass (erba lisimachia) e Bupleurum (bupleuro) in tintura, vendute con il nome Gold Coin Grass (GCG), 250 ml.

L’acido malico presente nel succo di mela è particolarmente efficace per dissolvere parte della bile stagnante e rendere i calcoli più morbidi.

Anche le erbe sopra menzionate si sono rivelate efficaci per ammorbidire i calcoli e possono quindi essere utilizzate nella fase preparatoria del lavaggio epatico, anche se potrebbe essere necessario un periodo di tempo leggermente più lungo rispetto a quanto richiesto in caso di utilizzo del succo di mela. II dosaggio esatto per la tintura è 1 cucchiaio da tavola pieno (circa 15 ml) una volta al giorno da assumere a stomaco vuoto circa 30 minuti prima di fare colazione. Questo regime dovrebbe essere mantenuto per otto o nove giorni prima di effettuare il lavaggio epatico.

Intolleranza ai sali di Epsom

Se siete allergici o intolleranti ai sali di Epsom, potete usare il citrato di magnesio (anche se non e efficace come il sale inglese), che potete trovare facilmente in farmacia.

Disturbi alla colecisti o la colecisti e stata asportata

Se soffrite di disturbi alla colecisti o se questa e già stata asportata, potrebbe essere necessario assumere succo di mirtillo palustre o erba lisimachia per 2-3 settimane (circa 1 bottiglia) prima del lavaggio epatico.

Come raccomandazione generale, potreste prendere in considerazione la possibilità di prendere un integratore biliare. La maggior parte di questi prodotti e a base di bile di bue. Se vi è stata asportata la cistifellea, potreste non riuscire più ad avere la quantità di bile necessaria alla corretta digestione dei cibi. In presenza di sintomi di diarrea riducete ii dosaggio o interrompete l’assunzione. Consultatevi con il vostro naturopata per scegliere il prodotto più indicato.

Soggetti che non dovrebbero utilizzare il succo di mela

Esistono persone che potrebbero incontrare difficoltà bevendo il succo di mela nelle quantità richieste per il lavaggio epatico, ma non ne sono consapevoli: tra queste annoveriamo coloro che soffrono di diabete, ipoglicemia, infezioni da lievito (Candida), cancro e ulcere allo stomaco.

In tali casi il succo di mela può essere sostituito con acido malico in polvere. Cercate di evitare di assumerlo in capsule, soprattutto se queste contengono altri ingredienti. L’ideale e sciogliere bene l’acido malico prima di ingerirlo. II periodo di preparazione e identico a quello indicato per l’assunzione del succo di mela, eccetto per il fatto che un litro di succo di mela al giorno viene sostituito da 1/2 o 1 cucchiaino di acido malico disciolto in 4-6 bicchieri da 33 ml di acqua tiepida, da bere in piccole quantità durante ii giorno. L’acido malico in polvere per uso alimentare (non mescolato al magnesio o ad altri ingredienti) costa pochissimo e può essere acquistato in Internet a nei negozi di alimentazione naturale. Tutte le aziende vinicole lo usano per produrre il vino.

Anche il succo di mirtillo palustre contiene molto acido malico e può essere usato per il periodo di preparazione (1 parte di succo mescolata a 2 parti di acqua, da assumere tre o quattro volte al giorno per sei giorni); è anche possibile miscelarlo al succo di mela. L’assunzione quotidiana di piccole quantità di succo di mirtillo palustre per due o tre settimane prima del lavaggio epatico comporta indubbiamente dei vantaggi.

Un’alternativa e l’erba lisimachia (gold coin grass). Seguite le istruzioni già riportate per quanti sono intolleranti al succo di mela: potete provare l’acido malico o il succo di mirtillo palustre durante un lavaggio e l’erba lisimachia in quello successivo, e vedere quale di questi funziona meglio. Una quarta alternativa e rappresentata dall’aceto di mele: miscelatene 1 o 2 cucchiai in un bicchiere di acqua e bevetene quattro porzioni al giorno per sei giorni.

Mal di testa o nausea nei giorni successivi al lavaggio epatico

Nella maggior parte dei casi questi disturbi si presentano quando le istruzioni non sono state seguite scrupolosamente (vedi il paragrafo precedente); tuttavia, in rare occasioni e possibile che i calcoli biliari continuino a fuoriuscire dal fegato anche dopo aver terminato il lavaggio epatico. Alcune tossine rilasciate da questi calcoli possono allora penetrare nel sistema circolatorio e provocare malessere. In questo caso, una volta concluso il lavaggio epatico, può essere utile bere circa mezzo bicchiere di succo di mela per sette giorni consecutivi o finché i disturbi non passano. II succo di mela andrebbe bevuto almeno mezz’ora prima di colazione. Potrebbe anche essere necessaria un’ulteriore pulizia del colon per eliminare i calcoli “ritardatari”. Come già accennato, anche il metodo di pulizia dei tessuti (acqua ionizzata) contribuisce alla rimozione delle tossine in circolo. Mettete un pezzetto di zenzero fresco nel thermos: bevendo quest’acqua bloccherete rapidamente la nausea. Anche bere due o tre tazze di camomilla al giorno aiuta a calmare il tratto digerente e il sistema nervoso; la camomilla, inoltre, facilita lo scioglimento dei calcoli calcificati.

Malessere durante il lavaggio

Se avete seguito scrupolosamente tutte le istruzioni fornite nelle pagine precedenti ma continuate a sentirvi male mentre praticate il lavaggio epatico, non allarmatevi pensando che qualcosa sia andato storto. Pur essendo una eventualità rara, e possibile vomitare o provare nausea durante la notte: questo succede quando la cistifellea espelle la bile e i calcoli biliari con una forza tale da far riaffiorare l’olio nello stomaco. Quando l’olio mescolato alla bile ritorna nello stomaco, è probabile provare una sensazione di nausea. In questo caso dovreste riuscire a sentire l’espulsione dei calcoli: non sarà un dolore acuto, ma solo una contrazione lieve.

Nel corso di uno dei dodici lavaggi epatici a cui mi sono sottoposto ho passato una gran brutta notte ma, nonostante abbia vomitato la maggior parte della miscela oleosa, il lavaggio è andato bene come tutti gli altri. Quando ho vomitato, l’olio aveva già compiuto il suo lavoro, cioè aveva stimolato il rilascio dei calcoli biliari. Se vi dovesse capitare, ricordatevi che e solo una notte di disagio, mentre per riprendersi da un intervento chirurgico convenzionale ci vogliono diverse settimane o mesi, e non è detto che negli anni a venire non si debbano provare un dolore e una sofferenza maggiori.

II lavaggio epatico non ha dato i risultati previsti

In alcuni casi, sebbene rari, il lavaggio epatico non dà i risultati previsti. I due motivi principali e i rimedi per tali difficoltà sono elencati di seguito.

  1. È probabile che una grave congestione nei dotti biliari epatici (dovuta alla struttura estremamente densa dei calcoli) abbia impedito al succo di mela di penetrare completamente durante il primo tentativo di lavaggio. Per alcuni soggetti possono essere necessari due o tre lavaggi epatici prima che i calcoli comincino a fuoriuscire.

La chanca piedra, nota anche come “distruttrice di pietre”, può aiutarvi a preparare il fegato e la cistifellea a un rilascio più, efficace dei calcoli, soprattutto se ne avete di calcificati nella colecisti. Prendete venti gocce di estratto di chanca piedra in un bicchiere d’acqua tre volte al giorno per almeno due o tre settimane prima del successivo lavaggio. Anche l’olio enterico di menta piperita sotto forma di capsule è molto utile per sciogliere i calcoli biliari calcificati o ridurne le dimensioni, ma può essere difficile trovarlo puro. Spesso, infatti, e combinato con altri ingredienti e la sua efficacia può risultare ridotta.

Anche bere due o tre tazze di camomilla al giorno favorisce la dissoluzione dei calcoli calcificati.

Un altro metodo efficace per aiutare fegato e cistifellea durante il lavaggio e favorire il rilascio di una maggiore quantità di calcoli consiste nell’intingere un panno nell’aceto di mele caldo e applicarlo sulla zona di fegato/cistifellea durante i 20-30 minuti in cui si sta sdraiati. Alcune persone hanno trovato beneficio nell’uso di olio di ricino.

Le erbe genziana cinese e bupleuro aiutano a dissolvere parte della congestione e possono quindi preparare il fegato a un lavaggio più efficace. Queste erbe sono preparate sotto forma di tintura, comunemente nota come “amaro cinese”.

II dosaggio esatto per questa tintura e da 1/2 a 1 cucchiaino (circa 5 ml) una volta al giorno da assumere a stomaco vuoto circa trenta minuti prima di fare colazione. Questo regime dovrebbe essere seguito per tre settimane prima di bere il succo di mela (o prima di utilizzare le altre alternative presentate nel paragrafo precedente). Qualsiasi reazione sgradevole legata al lavaggio scompare, solitamente, dopo tre o sei giorni e può essere ridotta al minimo seguendo ii metodo di lavaggio dei tessuti che utilizza acqua calda ionizzata e tenendo il colon pulito mediante capsule di Oxyflush, Oxypowder, Colosan, o eseguendo un colema o un clistere.

Un altro metodo consiste nel bere ogni giorno per una settimana tre cucchiai di succo di limone non diluito e non zuccherato da 15 a 30 minuti prima di colazione. II succo di limone stimola la cistifellea e la prepara a un lavaggio ancora più efficace.

  1. Non avete seguito correttamente le istruzioni: tralasciare uno dei punti indicati nella procedura o alterare i dosaggi o gli orari delle fasi descritte può impedire il raggiungimento di risultati completi. In molti soggetti, per esempio, il lavaggio epatico non funziona a meno che l’intestino crasso non venga prima svuotato, perché l’accumulo di prodotti di scarto e di gas impedisce alla miscela di olio di spostarsi facilmente all’interno del tratto gastro-intestinale. Nelle persone con una forte costipazione la cistifellea potrebbe aprirsi appena durante il lavaggio. II momento migliore per procedere a una irrigazione del colon o per un metodo alternativo e ii giorno in cui viene eseguito effettivamente il lavaggio epatico.

Il mio amico aprì il cassetto del comodino e disse: è biancheria intima?

Dedica due minuti a questa lettura, è molto bella.

Prima di leggerla, sappi che è l’essenza della vita e che soltanto le persone che hanno davvero un animo nobile e semplice possono veramente apprezzarla, dolce e delicata come la biancheria intima.

Parliamo di biancheria intima e non solo… adesso, se sei sicuro/a di te, leggi STORIELLA INDIANA:

Il mio amico aprì il cassetto del comodino di sua moglie e ne estrasse un pacchetto avvolto in carta di riso.

Questo, disse, non è un semplice pacchetto, è “biancheria intima”.

Gettò la carta che lo avvolgeva e osservò la seta squisita e il merletto.

Lo comprò la prima volta che andarono a New York, 8 anni fa, ma non lo usò mai.

Lo conservava per un’occasione speciale.
Bene.
Credo che questa sia l’occasione giusta.

Si avvicinò al letto e collocò il capo di biancheria vicino alle altre cose che avrebbe portato al funerale e poi nella tomba.

Sua moglie era appena morta.
Girandosi verso di me disse: non conservare niente per un’occasione speciale, ogni giorno che vivi è un’occasione speciale.

Sto ancora pensando a queste parole ed a come hanno cambiato la mia vita.

Adesso leggo di più e pulisco di meno. Mi siedo in terrazzo e ammiro il paesaggio, senza fare caso alle erbacce del giardino.

Passo più tempo con la mia famiglia e gli amici e meno tempo lavorando.

Ho capito che la vita deve essere un insieme di esperienze da godere, non per sopravvivere.

Ormai non conservo nulla. Uso i miei bicchieri di cristallo tutti i giorni.

Metto l’abito nuovo per andare al supermercato, se decido così e se ne ho voglia.

Ormai non conservo il mio miglior profumo per feste speciali, lo uso ogni volta che voglio farlo.

Le frasi “un giorno…” e uno di questi giorni” stanno scomparendo dal mio vocabolario.

Se vale la pena vederlo, ascoltarlo o farlo adesso, lo faccio.

Non sono sicuro di cosa avrebbe fatto la moglie del mio amico, se avesse saputo che non sarebbe stata qui per il domani che tutti prendiamo tanto alla leggera.

Credo che avrebbe chiamato i suoi familiari e gli amici intimi.

Magari avrebbe chiamato alcuni vecchi amici per scusarsi e fare la pace per una lite passata.

Mi piace pensare che sarebbe andata a mangiare cibo cinese, il suo preferito.

Sono queste piccole cose non fatte che mi infastidirebbero, se sapessi che le mie ore sono contate.

Infastidito perché smisi di vedere buoni amici con i quali mi sarei messo in contatto ‘un giorno…’.

Infastidito perché non scrissi certe lettere che avevo intenzione di scrivere “uno di questi giorni”.

Infastidito e triste perché non dissi ai miei familiari e ai miei amici, con sufficiente frequenza, quanto li amo.

Adesso cerco di non ritardare, trattenere o conservare niente che aggiungerebbe risate ed allegria alle nostre vite.

Ogni giorno dico a me stesso che questo è un giorno speciale. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto…è speciale.

Se hai ricevuto questo messaggio, è perché qualcuno ti vuole bene e perché ci sono persone alle quali probabilmente tu vuoi bene. Oggi parla con i tuoi amici, colleghi parla di biancheria intima.