Metodo Konmari

Oggi ho deciso: utilizzo questo metodo. Voglio vivere nella semplicità. Le azioni importanti in questa vita sono veramente poche: la gestione o progettazione del tempo, la scelta delle persone con cui stare, il potere del dono e del xdono. Il metodo Konmari mi aiuterà.

Di seguito, le 10 regole irrinunciabili del Metodo Konmari:

  1. Riordinare la casa è un evento speciale. Abituati a riorganizzare tutto in una volta sola, senza suddivisioni per ambiente. Senza temere il famoso “effetto boomerang”.
  2. Riorganizzare per categoria? Certo! Riordinare con questa modalità è un ottimo modo per mettere a fuoco le categorie di oggetti in nostro possesso, in qualsiasi ambiente della casa si trovino.
  3. Non avere paura di buttare via. L’effetto catartico del sapersi liberare dell’eccesso ti sorprenderà, e darà nuovo valore a tutto ciò che rimarrà con te. Le carte in casa sono sempre moltissime: metti i documenti in salvo, tutto il resto nel cestino. Conserva solo ciò che ti è strettamente utile.
  4. Seleziona gli oggetti che ti regalano un’emozione positiva. Impara a volerti bene, selezionando solo gli oggetti che racchiudono ricordi “sani”, che ti rispecchiano ancora e ti danno forza e ottimismo. Elimina le zavorre emotive.
  5. Fotografie: cerca di non essere troppo sentimentale, mantieni solo quelle più significative, e concentrati sul futuro.
  6. Impara a volerti bene anche tra le mura domestiche, quando rimani sola con te stessa.
  7. Regala quei libri che stazionano sui tuoi scaffali da tempo, aspettando di essere letti. Se non li hai ancora letti, probabilmente non lo farai mai. Regalali! (E abbandona i sensi di colpa)
  8. Diffida di divisori e contenitori, diventeranno presto ricettacolo di oggetti inutili.
  9. Una volta ottenuto l’ordine desiderato in casa, impara a mantenerlo giorno dopo giorno.
  10. Svuota la tua borsa a fine giornata. Scontrini, flyer, biglietti: la borsa è il luogo del disordine per eccellenza.

La storia delle cento scimmie

Quando abbiamo un’intuizione ci sembra di essere unici e illuminati, tanto da pensare addirittura di voler brevettare quell’idea o quel prodotto.

Vorrei raccontarvi la storia delle 100 scimmie. È chiamato anche il fenomeno della centesima scimmia è un evento paranormale.

Lo scrittore inglese Lyall Watson dichiarò di avere osservato questo fenomeno, per la prima volta, nel 1979 nell’isola giapponese di Koshima. In realtà, si tratta di un mito.

Un carissimo amico mi diceva sempre che quando una persona qualunque ha un’idea anche altre 200 persone nel mondo hanno avuto la stessa idea. Personalmente ritengo che il primo che riesce a realizzarla e a metterla in pratica può “coprire” le quote di mercato per un buon ottanta per cento.

La storia è questa: Si racconta di una tribù di macachi che viveva sull’isola di Koshima. Mangiavano patate dolci intrise di sabbia. Ad un centro momento della loro evoluzione alcune di loro cominciarono a lavarle e a pulirle dalla sabbia per gustarle meglio.

Quando la centesima scimmia imparò a pulirle anche tutte le altre scimmie dell’isola assunsero lo stesso comportamento. Quello che ha dell’incredibile è che anche tutte le altre tribù di macachi di altre isole che non erano mai state in contatto per alcun motivo si comportarono nello stesso modo.

Questo aneddoto e questa scoperta potrebbero farci comprendere che esiste una connessione tra i macachi e che potrebbe esserci anche nell’essere umano.

La nave e l’artigiano

C’era una nave che attraccò in un porto di un’isola sperduta nell’oceano Pacifico, aveva i motori in avaria e non poteva continuare il viaggio.

Una volta attraccati, il capitano si affaccio sul ponte e guardando la folla che stava sul molo ad osservare quella grande nave disse, c’è qualcuno tra di voi che s’intende di motori di questo tipo? Che sia in grado di ripararli?

Nessuno si faceva avanti. Passarono prima giorni e poi mesi, durante i quali nessun esperto, nessun ingegnere, nessun meccanico riuscì ad aggiustare e far ripartire il motore della lussuosa nave.

Più passava il tempo più il problema sembrava diventare irrisolvibile e nonostante i più rinomati esperti arrivassero da tutte le parti del mondo, con le più disparate tecnologie ed i metodi più all’avanguardia, nessuno era in grado di fornire la soluzione al capitano che, disperato, era arrivato a offrire una ricompensa di un milione di euro.

Una mattina arrivò voce dell’esistenza di un artigiano che fin da bambino aveva la passione delle navi e dei motori. Quest’uomo aveva dedicato tutta la sua esistenza a quel mondo, a osservare come i vecchi si prendevano cura delle loro navi, a studiare i metodi più innovativi per riparare i motori, e ogni minuto della sua vita era trascorso a trovare soluzioni per aggiustare navi.

Quando salì sulla nave disse al capitano: ” Io, penso di essere all’altezza di questo compito signore!”. Il capitano rispose: “Salga signore, che le faccio vedere i motori!”, una volta a bordo, lo portarono davanti alla sala motori, lui si mise davanti lo osservò, li ascoltò, li toccò per alcune ore poi chiese un martello, il capitano incredulo con un sorriso sarcastico gli pose il martello scuotendo la testa come se fosse pazzo e glielo diede.

Dopo pochi istanti l’artigiano diede una martellata al centro del motore, e.. stufff, stufff, grrrrrr, il motore si mise in moto perfettamente.

Il Capitano incredulo, gli chiese “quanto le devo buon uomo?”. “Un milione” disse l’uomo. “Ma come, per una martellata?” rispose il capitano, “No, 999.999 Euro sono per sapere dove dare la martellata. Un Euro per la martellata. signore!”

Un minuto tutto per me – Semplificare – parte 4/4

Un minuto tutto per me – Prendermi cura di “Me”

Era trascorsa una settimana da quando l’uomo si era accomiatato dallo zio, eppure non era felice come aveva sperato.

Aveva riletto gli appunti presi durante la conversazione, tuttavia trovava che una cosa era parlare di concedersi “un minuto tutto per sé” e una cosa era mettere in pratica quello stesso proposito.

Lui non l’aveva fatto.

“Forse non sono del tutto convinto che possa funzionare”, pensò l’uomo mentre era al volante della propria auto. “O forse è soltanto una questione di autodisciplina.”

Cambiare era molto più difficile di quanto avesse previsto. L’uomo dovette riconoscere che l’idea non gli piaceva affatto. Tuttavia sapeva anche che per raggiungere la felicità qualche cosa doveva pur cambiarla.

Decise di rileggere nuovamente gli appunti e di vedere che cosa si poteva tentare.

Nel frattempo spense la radio e pensò a quanto aveva detto lo zio.

Per qualche oscuro motivo l’uomo rammentò proprio le parole dello zio quando questi diceva che una delle cose che lui stesso aveva fatto era stato,

Lo zio aveva detto che bisognava cercare di ridurre ogni cosa alla sua essenza fondamentale.

Tuttavia l’uomo era convinto che la vita fosse assai più complicata, o in ogni caso la sua vita gli appariva difficile e irta di problemi, per cui il concetto gli riusciva ostico.

Comunque, visto che gli era impossibile rileggere gli appunti guidando, tentò di richiamare alla mente le idee più semplici ed essenziali.

Rammentò il discorso riguardante la differenza tra desideri e necessità reali e tra le speranze alimentate dalla nostra fantasia e la realtà che invece ci tocca accettare.

E rammentò altre cose che parevano costituire una tappa importane nella ricerca della felicità.

Ma non apparivano poi così semplici. “Qual è il concetto più semplice da mettere in pratica così su due piedi?” pensò l’uomo, e si sforzò di ricordare.

Proprio allora si stava avvicinando a un segnale di stop. L’uomo sorrise, adesso ricordava: si trattava di concedersi un minuto di pausa, domandarsi in che modo ci si potesse prender cura di sé e ascoltare in silenzio la propria voce interiore. Quella era davvero una cosa che poteva fare subito.

L’uomo guardò nello specchietto retrovisore e vide che non c’era nessuno dietro di lui. Allora se ne stette là fermo per un minuto intero.

Poi si domandò: Posso far qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?

Quindi seguì in silenzio il corso dei propri pensieri. E proprio mentre, fermo allo stop, guardava fuori dal parabrezza sudicio, l’uomo ebbe un fremito. “Bisogna che faccia lavare la macchina uno di questi giorni”, pensò.

L’uomo si sentiva decisamente più a proprio agio al volante di un’auto pulita. In effetti un’auto sporca, mal tenuta e male in arnese faceva sentire sporco e malandato anche lui, sebbene il più delle volte non se ne rendesse neppure conto. Però gli sembrava di avere sempre troppo da fare per prendersi la briga di farla lavare.

In realtà l’uomo si rese conto di aver avuto qualche volta l’intenzione di far lavare la propria auto, o perlomeno di riempire il serbatoio del tergicristallo. Ma poi si era sempre trovato qualcos’altro da fare, per cui finiva con l’ignorare la faccenda.

Però in quel momento stava guardando un paesaggio sporco e provava la netta sensazione di non aver fatto qualcosa che lo avrebbe reso più felice.

L’uomo guardò fuori attraverso il parabrezza lurido, vide che non c’era pericolo e mise in moto allontanandosi dallo stop. Già sapeva che cosa avrebbe fatto e si domandò perché avesse aspettato tanto tempo.

Si concesse una pausa per recarsi a una stazione di servizio, far lavare la macchina e riempire il serbatoio del tergicristallo. Telefonò alla moglie per avvertirla che avrebbe fatto tardi e gliene spiegò la ragione.

Quando fece per pagare con la sua principale carta di credito scoprì che non l’accettavano: l’inserviente fu irremovibile a tale proposito, voleva che pagasse in contanti.

In passato un contrattempo del genere al termine di una lunga giornata lavorativa lo avrebbe irritato.

Ora invece si sentiva proprio bene: era contento di aver dedicato un po’ di tempo a se stesso. L’auto sfavillava, avevano fatto un buon lavoro.

L’uomo sorrise, pagò in contanti e partì.

Poi pensò: “È incredibile quanto possa essere importante una cosa insignificante come lavare la macchina” e guardò allegramente fuori dal parabrezza pulito.

Un minuto tutto per me – Prendermi cura di “Me” – parte 3/4

Un minuto tutto per me

“Ecco, queste sono le piccole cose di cui ti parlavo. In pratica il significato è questo”, e così dicendo porse al nipote una targa che teneva sulla scrivania del suo studio. Sopra c’era scritto:

Tratto me stesso nel modo in cui vorrei che gli altri mi trattassero

“E che cosa vuol dire?” domandò l’uomo.

“Quando ho la sensazione di non essere trattato nel modo giusto”, disse lo zio, “allora penso a come sto trattando me stesso.

“La mia vita è felice proprio perché mi sono preso cura di me stesso per quanto riguarda questi fattori così importanti per la nostra esistenza. A volte mi viene da pensare che la gente non sia del tutto leale nei miei confronti. In genere si tratta di piccolezze, eppure non amo particolarmente essere trattato in maniera ingiusta.”

“Capisco quello che provi”, disse il giovane.

“Ma non appena mi concedo un istante di pausa e mi rendo conto che mi sento vittima di qualcuno, capisco chi è il mio persecutore”.

“Sei tu?” provò a indovinare il nipote.

“Si, sono io”, confermò lo zio. “Subito mi ricordo che posso essere il migliore amico e insieme il peggiore nemico di me stesso. Tutto dipende da che cosa decido di fare o di pensare.”

”Per esempio che cosa potresti fare?”

“Non mi piace che gli altri abbiano l’impressione che non sono all’altezza delle loro aspettative. È come se non fossi mai in grado idi soddisfare le loro esigenze.

Perciò evito di pormi obiettivi troppo rigidi e di confrontarmi con un’immagine a cui ritengo di dover corrispondere. Se provo un senso di delusione in genere è perché non ho ottenuto da me stesso ciò che pretendevo di ottenere.

“Ho imparato a non aspettarmi di riuscire a realizzare quelle feste che sono perfette soltanto nella mia fantasia, con tanto di cibarie, candele, gaudio e tripudio di amici e familiari.

“Ora per me si tratta di un momento in cui rendere grazie per ciò che già possiedo.”

Rammento la scarsa riuscita delle proprie feste, l’uomo disse: “Ma allora la frustrazione e l’infelicità stanno a simboleggiare la differenza che passa tra fantasia e realtà”.

“Sì”, confermò lo zio. “Adesso mi limito ad apprezzare qualunque cosa mi capiti, senza per questo pretendere di fare confronti con ciò che sono convito dovrebbe accadere. È perché adesso so che questa sensazione così dolorosa proviene dal fatto che percepisco la differenza che passa tra la realtà e ciò che io mi aspetto da essa.”

L’uomo disse: “Così, mettendo da parte i sogni e imparando ad apprezzare quel che c’è di buone nella realtà, sarò anche più felice.”

“Nel mio caso funziona”, aggiunse lo zio.

Poi proseguì: “Un altro modo di prendermi cura di me stesso consiste nell’esaminare i miei desideri alla luce delle mie necessità”.

“E qual è la differenza, zio?”

“Una necessità, è qualcosa di cui abbiamo bisogno per il nostro benessere. Un desiderio è qualcosa che speriamo possa darci la felicità, anche se spesso non è così. Possiamo desiderare una caramella, però abbiamo bisogno di ossigeno. Lo stesso accade con il binomio successo e felicità. Sono molti coloro che hanno ottenuto il successo ma non la felicità: essi hanno scoperto a proprie spese che l’aver perseguito e raggiunto un obbiettivo non significa necessariamente essere felici. Sono soddisfatto quanto ottengo ciò che voglio, ma sono felice quando desidero ciò che riesco a conseguire. E inoltre, vedo le cose con maggiore chiarezza se mi concedo una pausa e prendo in considerazione ciò per cui sto lottando.”

Lo zio fece una pausa così da consentire al nipote di comprendere a fondo l’importanza di quanto stava per dire. “Non ne avremo mai abbastanza di ciò che è superfluo.”

“È come desiderare del denaro e una volta che lo si ha scoprire che non ci rende felici come speravamo e tuttavia desiderane sempre di più, con l’illusione che questo finalmente possa appagarci.”

“Ma allora, zio, come fai a capire quali sono le tue reali necessità?”

“Dedicandomi un po’ di tempo per prendere in esame ciò che mi rende felice sul serio. A volte mi sento in vena di scrivere e persino di analizzare ciò che ho scritto. Altre volte, invece, faccio semplicemente una passeggiata e ascolto in silenzio la voce della mia mente. Ogni qualvolta mi concedo un minuto di pausa e mi domando: ‘Ho davvero bisogno di ciò che sto inseguendo?’, spesso poi smetto di insistere con quell’obiettivo.”

L’uomo disse: “Tutto questo mi fa venire in mente quando stavo imparando ad andare in deltaplano. Avevo visto un ragazzo che cercava di volare mentre da terra il suo istruttore gli gridava: ‘Stati attento alle auto nel parcheggio! Attento a non andare a sbattere contro quella macchina verde” Ho detto stati attento a non andare a sbattere contro…!’ Indovina un po’ dove è andato a planare il ragazzo?

“Dritto sulla macchina verde. Il mio istruttore a quel punto si era voltato verso di me e mi aveva detto: ‘Che questo ti serva da lezione. Non guardare mai in una direzione che non vuoi prendere’.

“Ora incomincio a capire. È così che si combatte lo stress: evitando di mirare al superfluo”.

“Naturalmente, come credi che tu e io ci sentiremmo se avessimo lavorato sodo per ottenere qualcosa e finalmente l’avessimo ottenuta, salvo poi scoprire che in realtà non ne avevamo affatto bisogno?”

“Sarei deluso”, disse l’uomo. “Forse addirittura depresso. Perciò vale davvero la pensa di sospendere tutto e prendere in esame la situazione.”

“Precisamente! E se consono io a concedermi una pausa e pensare a ciò che è meglio per me, chi altri lo può fare?

“È semplicissimo. Quanto più mi prendo cura di me stesso, tanto più ho la sensazione di essere oggetto di attenzioni.”

“E quando le cose ti vanno storte, zio, che cosa fai? In che modo ti prendi cura di te stesso?”

“Passo in rassegna tutto il male che mi è capitato finché non trovo qualcosa di positivo. Potresti farlo anche tu in circostanze analoghe.”

L’uomo disse: “Ci proverò. Ma posso chiederti ancora quale altro accorgimento funziona nel tuo caso?”

“Ma certo. Vedi, io mi semplifico l’esistenza”, disse lo zio. “È un metodo rapido per diminuire lo stress. Procedo per eliminazione finché non trovo ciò che essenzialmente mi rende felice.

“E una volta raggiunta la felicità, cerco di mantenerla. Quanto più la mia vita è semplice, tanto più risulta armoniosa.”

“E come fai, zio, a semplificarti l’esistenza?”

Questi rispose in tono di sfida: “Di nuovo penso che girerò a te la domanda: sei tu che devi trovare da solo il metodo più adatto alle tue esigenze”

Lo zio si alzò e si mise a camminare. “Per questa mattina ti dedicherò ancora un po’ del mio tempo, ma poi ho intenzione di fare ricreazione.”

“Ricreazione?” chiese il nipote.

Lo zio rispose: “Far ricreazione è come ridere. È uno dei metodi più efficaci di prendersi cura di se stessi.

“Far ricreazione è per il corpo ciò che un atteggiamento ottimista è per lo spirito. Mi piace giocare a tennis con gli amici e farmi una nuotatina veloce con la zia”.

Il nipote sorrise: “Ho un amico che credo proprio ti piacerebbe. Di certo la sua vita non è delle più facili, eppure è una delle persone più ottimiste di questa terra: pensa che la vita sia un gioco.

“La mattina, ancora prima di aprire gli occhi, stende sempre le braccia tutt’intorno a sé. Dice che se non si imbatte nelle pareti di una bara, allora quella sarà nuovamente una giornata fantastica!”

Lo zio rise. “Il trucco sta tutto nell’atteggiamento. Il modo in cui si guarda alla vita probabilmente costituisce da solo la ricetta migliore per prendersi cura di sé. La prospettiva che se ne ricava può annientare oppure plasmare un’esistenza.”

“Con l’età e, spero, con quel po’ di saggezza in più che avrò pur acquisito”, aggiunse lo zio, “sono giunto alla conclusione che nella mia vita esistono fondamentalmente due generi di emozioni, una positiva, ed è l’amore, e l’altra negativa, cioè la paura. L’una è determinata dall’assenza dell’altra è probabile che tutte le altre emozioni non siano che una variante di queste due.”

“Allora che cos’è l’ansia?” domandò l’uomo.

Lo zio rispose: “L’ansia è la paura dell’ignoto. Ogni qualvolta trascuro me stesso, mi rendo conto del fatto che è la paura a farmi comportare in quel modo.

“Quando invece scelgo di agire per amore”, aggiunse, “mi sento amato e quindi felice.

“Così nel prendere una decisione”, concluse, “mi domando: ‘Lo sto facendo per amore o per paura?’

“Nel caso in cui le mie decisioni siano dettate dalla paura, allora i risultati, che io ne sia cosciente o meno, non cono poi molto positivi”.

L’uomo ammise tra sé che era lo stesso anche per lui.

“Quando invece prendo una decisione dietro l’impulso dell’amore (che è assenza di paura), allora mi sento bene, e questo ancor prima di sapere come andrà a finire.

“Un altro modo di prendermi cura di me stesso è anche quello di privarmi di parte del mio tempo e del mio denaro.”

“E come funziona?”

“Ebbene”, disse lo zio, “dare via un po’ del mio denaro oppure del mio tempo mi aiuta a ricordare che non ho paura di restarne senza. Sono convinto che quel che ho mi può bastare.”

Lo zio soggiunse: “è quando ho paura cerco in ogni caso di prendere le mie decisioni senza lasciarmi influenzare da essa. Mi piace la sensazione che si prova a non trovarsi in preda al panico. E poi amo aiutare il mio prossimo”.

Le argomentazioni dello zio erano così logiche, che l’uomo si domandò se avrebbe mai imparato a prendersi cura di sé in maniera efficace.

“Perché vedi”, disse lo Zio, “quando mi privo di un po’ del mio tempo oppure del mio denaro questo mi ricorda che non ho paura. So che me ne resterà sempre a sufficienza per poterlo dividere con gli altri.”

E, come se fosse in grado di leggere nel pensiero del nipote, lo Zio disse: “Lascia che ti racconti un fatto accaduto veramente. Quando era ancora giovane, al nostro vicino di casa venne offerto un lavoro a New York. Non sapendo se accettare o meno, questi chiese consiglio a un anziano e saggio signore.

“L’anziano signore gli disse: “Vai a New York da solo, fai tutto il viaggio in treno. Non portarti nulla da leggere e nulla da scrivere; spegni il telefono. Prenota uno scompartimento privato e fatti servire tutti i pasti dal personale. Non parlare con nessuno. Ecco, questo è il mio consiglio”.

“Il mio vicino mi disse che ben presto ebbe a pentirsi di avere accettato quel consiglio, tuttavia decise lo stesso di seguirlo.”

“Dopo qualche giorno era già stanco di ammirare il paesaggio. Allora che cosa credi che fece?”

“Naturalmente”, disse lo Zio. “Si concesse una pausa sufficientemente lunga da potersi occupare di se stesso, lasciando che la risposta giungesse da sola, spontaneamente. Quando arrivò a New York sapeva che avrebbe accettato l’offerta e così fece: ebbe un successo strepitoso.”

“Quindi aveva sempre avuto la risposta dentro di sé?”

“Certo. E l’uomo saggio sapeva che lo avrebbe scoperto da solo”.

“Nel momento in cui il mio vicino decise di trascorrere un po’ di tempo in compagnia di se stesso in tutta tranquillità, fu anche in grado di vedere qual era la cosa migliore per lui.”

“Questo lo aiutò anche a occuparsi maggiormente della propria famiglia, e lo stesso vale per noi.”

“Tutti sappiamo che cosa fare per il nostro bene: abbiamo soltanto bisogno di rallentare un po’ il ritmo, abbastanza da poterci prendere cura di noi stessi.”

“E ora indovina un po’ che cosa ti consiglierò di fare.”

L’uomo sorrise e disse: “Bene, Zio, qualcosa mi dice che farò una specie di viaggio in treno, tutto solo”.

Un minuto tutto per me – parte 2/4

Un minuto tutto per me

Non appena ebbe messo piede in casa dello zio, l’uomo ne avvertì il sorriso su di sé; quando si fu messo a proprio agio gli domandò: “Zio, sei felice?”

Lo zio disse: “Sono molto felice, però devo ammettere che è così soltanto da qualche anno a questa parte. Ricordo che vi fu un tempo in cui mi sentivo completamente fuori dalla realtà”.

“Se non è una domanda troppo personale, zio, posso chiederti in che modo sei diventato così felice””

“È facile”, rispose lo zio.

“A dire il vero, ogni qualvolta una situazione si complica e mi si confondono le idee riesco a superare l’ostacolo ricordandomi che se si tratta di una faccenda intricata, quello è già in parte un problema. Se invece è una cosa semplice, allora potrebbe anche risolversi da sola.”

“Un tempo”, continuò lo zio, “la maggior parte dei problemi mi parevano complessi. Una volta trovata la risposta, però, questa di solito si rivelava semplicissima. Anzi, talvolta la risposta è vergognosamente ovvia.”

“La verità nuda e cruda”, concluse, “è che mi sono sentito più felice nel momento in cui ho iniziato a prendermi cura sia di me stesso che degli altri.”

Questo l’uomo non se l’aspettava.

“E che cosa ti ha reso più felice”, domandò, “prenderti cura di te stesso oppure degli altri?”

“Si tratta di due fattori così legati l’uno all’altro”, fece notare l’anziano signore, “che non si possono neppure separare.”

“Penso che il massimo della felicità io lo raggiunga quando riesco a controbilanciare questi due elementi così importanti. Talvolta, infatti, è meglio curarsi innanzitutto degli altri, mentre invece in altri casi è più utile occuparsi per prima cosa di se stessi.”

“Il bello è che la tecnica che adotto per prendermi cura di me stesso in genere è efficace anche con gli altri.”

“In fondo, pensare al nostro prossimo è un modo di prendersi cura di noi stessi, ci dà forza e serenità.”

“Le cose non andavano per il verso giusto perché mi preoccupavo troppo di compiacere gli altri e mi dimenticavo di fare altrettanto con me stesso. Ora mi divido equamente le due parti.”

“E, ironia della sorte, da quando ho preso ad occuparmi maggiormente di me stesso la gente mi dice di trovarsi meglio in mia compagnia. ”

“Io stesso sono più contento di me, e così pure degli altri; e anch’essi mi apprezzano maggiormente, come pure si trovano più a proprio agio in compagnia di se stessi.”

L’uomo era scettico: “Mi pare tutto troppo semplice e troppo bello per essere vero. Forse sto ancora dibattendomi in mezzo a problemi irrisolti, però mi sembra che la vita sia molto più complicata”.

Lo zio rispose: “Non ti biasimo per i tuoi dubbi, ma la verità è che questo segreto è talmente semplice e banale e insieme così efficace che una volta messo in pratica tutti ne traggono benefico!”

Come a voler chiarire ulteriormente il concetto, lo zio scrisse con calma qualcosa su un foglio che poi passò al nipote. L’uomo vi lesse queste parole:

 

Prima ancora di occuparmi con successo di qualcosa o di qualcuno, devo soprattutto prendermi cura di me stesso.

Lo zio disse: “’Me stesso’ è quello che io sono. ‘Te stesso’”, ammiccò, “è quello che sei tu. Dentro di noi siamo diversi quanto lo sono le nostre impronte digitali. Siamo entrambi unici e speciali, come d’altronde qualunque altro essere umano sulla faccia della terra.

“È di questa ‘essenza’ che ciascuno di noi deve prendersi cura”.

Il nipote chiese: “E perché ha tanta importanza?” siamo più vivi e più sereni. E se ci sentiamo meglio noi, riusciamo anche ad aiutare il nostro prossimo in maniera più efficace.”

Lo zio proseguì: “Alcuni anni fa mi resi conto che il concetto di felicità mi diventava più chiaro se prendevo in esame il suo esatto opposto. Per esempio, che cosa pensi che provino quelle persone che sono così infelici da soffrire sempre di gravi forme di depressione?”

L’uomo rispose: “Probabilmente per loro assolutamente nulla ha importanza, che si tratti di se stessi, della loro prossimo oppure di ciò che li circonda”.

“Verissimo”, convenne lo zio. “Per loro nulla ha importanza. E come credi che si senta chi si trova accanto a una persona per cui nulla ha importanza”.

L’uomo sorrise e disse: “Deve essere piuttosto deprimente”.

Lo zio osservò: “Puoi dunque capire come chi si trascura a livelli così estremi in definitiva non sia utile al suo prossimo. Se si curasse un po’ di più di sé non sarebbe meglio anche per gli altri?”

Mentre l’uomo rifletteva lo zio domandò: “Qual è il primo segnale che indica che un ‘malato’ è in via di guarigione?”

L’uomo capì e rispose: “forse quando ricomincia a prendersi cura della propria persona. Per esempio si pettina”.

Lo zio annuì. “Certo. Chi è sano si prende cura della propria persona. Chi non sta bene non lo fa.”

Poi aggiunse: “E allora, che cosa credi che io abbia fatto?”

Dopo un attimo, rispose da sé alla propria domanda: “Presi a considerare me stesso come un giardiniere. Anche tu, se vuoi, puoi farlo.

“Immagina di essere il giardiniere di un bel giardino situato in una magnifica tenuta: la gente viene da tutto il mondo per ammirare la tua opera.

“Cerca di vedere con gli occhi della mente quanto è elegante il risultato delle tue fatiche. Cerca di immaginare che cosa provi dentro di te. Senti come profuma d’aria”.

Lo zio fece una pausa, lasciando che la scena si dissolvesse. “Come ci si sente a essere un giardiniere del genere?”

L’uomo pensò: “Bene. Mi sento bene”.

Lo zio disse: “So di aver raggiunto un stato di equilibrio quando riesco a individuare tre zone principali all’interno del mio giardino e cioè: ‘Me’, ‘Te’ e ‘Noi’”.

“Cosi”, disse il nipote, “in pratica tendi a vedere te stesso come qualcuno che si occupa del suo Me, del suo Te e del suo Noi”.

“Certo”, rispose lo zio. “’Me’ è me stesso. ‘Te’ è il ‘me stesso’ che c’è in te”, aggiunse facendo un cenno con il capo. “Le tue e le mie necessità sono fondamentalmente le stesse, quindi pensando a te riesco anche a capire ciò di cui il tuo ‘io’ ha bisogno.”

Poi, toccando il mappamondo che era sistemato in un angolo della stanza concluse, “E ‘Noi’ è il tipo di rapporto che si instaura tra me e te, qualunque sia la natura di questo ‘Te’, sia esso un membro della mia famiglia o di un collega di lavoro oppure un estraneo che vive dall’altra parte del globo”.

Lo zio era circondato da un’aura di pace e di energia.

L’uomo sentì che doveva saperne di più. “Mi diresti qualcosa riguardo alla prima parte della tua filosofia, quella che riguarda il prendersi cura di sé?”.

“Usciamo in giardino”, suggerì lo zio. “Godiamoci un po’ di sole.”

Quando fu in giardino l’uomo si guardò attorno: udiva l’acqua scorrere e vide fiori stupendi; ovunque regnavano pace e tranquillità. Ora incominciava a capire in che modo il suo ruolo di giardiniere potesse arricchirlo spiritualmente.

Lo zio rifletté: “Osservando questo giardino è difficile ricordare il tempo in cui ero così infelice”.

“Che cos’è che non andava?” chiese l’uomo.

“Semplicemente trascuravo me stesso. A tutta prima non capivo che cosa non funzionasse. Non riuscivo neppure a godere dei miei successi, della mia famiglia, degli amici.

“Poi, considerando la cosa più da vicino, compresi che il lavoro contava più della famiglia, e che la famiglia contava più di me stesso. Insomma, il mio equilibrio vitale stava andando a rotoli soltanto per colpa mia.”

L’uomo chiese: “E allora che cosa facesti?”

“Una cosa banalissima: incominciai a prendere l’abitudine di interrompere ciò che stavo facendo più volte al giorno per dedicare un minuto tutto a me stesso.”

“Un minuto non è poi molto”, protesto l’uomo.

“Eppure è abbastanza per darti la felicità”, replicò lo zio. “Dai un’occhiata all’orologio, poi mettiti tranquillamente a sedere e non guardarlo più finché non ti pare che sia trascorso un minuto esatto – non un secondo di più e non uno di meno.”

L’anziano signore attese che il nipote portasse a termine l’esperimento in tutta calma. Sapeva che cosa sarebbe accaduto.

Dopo quello che gli era parso un minuto, il nipote guardò l’orologio. Era sorpreso: “Soltanto trentotto secondi! Esclamò. “Un minuto è più lungo di quanto pensassi”.

Lo zio sorrise: succedeva sempre così. “Se ci fermiamo e ce ne stiamo tranquilli, un minuto è un periodo di tempo piuttosto lungo.”

“Perché poi un minuto?” domandò il nipote.

Lo zio spiegò: “Perché una pausa di un minuto trascorsa in compagnia di noi stessi ci consente prima di tutto di prendere coscienza di ciò che stiamo facendo e in seguito ci permette di scegliere il metodo più efficace per prenderci cura di noi stessi e degli altri.

“A parte tutto ciò che faccio per curarmi di ‘Me’ di ‘Te’ e di ‘Noi’, è quel minuto in più che dedico a me stesso e agli altri che cambia davvero tutto quanto”.

L’uomo voleva sapere di più. “M come fai?” chiese.

Lo zio disse: “Non faccio altro che fermarmi e ‘mi’ domando in tutta calma: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante? Sembra incredibile, però funziona.

“Quando mi concedo queste pause, riesco a intravedere una soluzione migliore, e appena posso la metto in pratica”.

“E come fai a prenderti cura del tuo ‘Te’ in un minuto solo?”

“Incoraggio Te – il ‘Me’ che c’è in ‘Te’ – a vedere che siamo l’uno uguale all’altro. Anche tu hai bisogno di prenderti cura di te stesso. Allora ti invito a fermarti per un minuto e a domandarti con calma ciò che io domando a me stesso: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?

“Questo perché anche tu hai la risposta dentro di te”, concluse lo zio. “E anche tu meriti di poterti arricchire spiritualmente.”

L’uomo chiese: “E come ci si prende cura di ‘Noi’?”

“Io incito ciascuno di noi a dedicare un po’ di tempo a se stesso e a domandarsi: Sto forse pretendendo l’impossibile dall’altra persona oppure dal rapporto che ci lega? Sto forse chiedendo a questa persona di prendersi cura di me, oppure abbiamo entrambi intenzione di dedicarci maggiormente a noi stessi migliorando così il nostro rapporto?

Il nipote ebbe un dubbio: “Ma com’è possibile che un metodo così semplice e spiccio sia tanto efficace?”

“Vedi”, disse lo zio, “prendere in esame il proprio comportamento oppure i propri pensieri per un minuto, ma seriamente e senza indugiare, porta a un risultato validissimo, perché in questo modo siamo in condizione di ascoltare la voce della saggezza che c’è in noi.

“Fermarsi più volte nel corso della giornata prendendo in considerazione ciò che si sta facendo è come guidare in città e fermarsi agli stop. Gli stop ci aiutano a giungere sani e salvi a destinazione.”

L’uomo comprese. “Certo, perché se ci fermiamo e ci guardiamo attorno evitiamo di andare a sbattere da qualche parte e di farci del male.”

“Sicuro”, disse lo zio. “Mi fermo, mi guardo attorno e vedo che ho possibilità di scelta. Posso proseguire oppure cambiare direzione oppure ancora fare tutto ciò che ritengo più opportuno per il mio bene.

“E poi”, aggiunse lo zio, “sarà più difficile che vada a sbattere contro altre persone che transitano al mio stesso incrocio facendo loro del male. In questo modo aiuto me stesso e gli altri.

“Dedicare un minuto a me stesso, quando me ne ricordo, si è rivelato un metodo infallibile del mio caso.

“Quasi sempre trovo che la risposta al mio problema è dentro di me. La verità è che ciascuno di noi sa che cosa è meglio per se stesso. Basta soltanto prendersi una pausa sufficientemente lunga per riuscire a scoprirlo.”

L’uomo incomincia a rendersi conto che probabilmente lo zio sapeva qualcosa che valeva la pena ricordare. Si armò di carta e penna e chiese: “Ti dispiace se prendo nota di alcune cose?”

Lo zio si fece più preciso. “Incominciamo dal principio, dal prendersi cura di “Me”. Poi passeremo a quello che secondo me è un livello superiore, e cioè prendersi cura di ‘Te’, e infine a prendersi cura di ‘Noi’. Come vedi, ciascun livello si fonda sul precedente e questo allo scopo di raggiungere il reciproco equilibrio.”

L’uomo chiese: “Ma tu che cosa fai?”

“Che cosa fare è la parte meno complicata dell’intera faccenda”, rispose lo zio. “Una volta stabilito di fare ogni giorno qualcosa per prendermi cura di ‘Me’, ecco che scopro un’infinita varietà di metodi attraverso cui realizzare il mio proponimento. Cerco semplicemente di occuparmi di me stesso con la stessa frequenza e nella stessa misura in cui mi occupo degli altri.

“Di qualunque cosa si tratti, a ogni modo, mi dà l’impressione che ci sia qualcuno che si prende cura di me, e questo mi rende felice.

“È probabile, tuttavia, che quel che tu fai per te stesso sia diverso da quel che faccio io. In effetti, caro nipote, una parte della gioia che si prova consiste proprio nell’individuare quel meccanismo che è efficace esclusivamente nel nostro caso.

“Personalmente, la mia ricetta può variare di settimana in settimana; in genere, però, inizia sempre allo stesso modo.

“Per prima cosa mi concedo un minuto da dedicare tutto a me stesso nel corso della giornata e poi mi domando: Posso fare qualcosa di meglio per prendermi cura di me in questo preciso istante?

“Una volta stabilito questo, poi tutto dipende da quel che sto facendo, oppure da ciò che mi passava per la mente al momento di formulare la domanda. Di solito si tratta di qualcosa che modifica il mio comportamento oppure il mio modo di pensare.

Il nipote chiese: “Non potresti fornirmi qualche esempio più concreto, zio?”

“Sicuro”, disse lo zio, “ricordo ancora quando mi pareva di non avere abbastanza tempo da dedicare a me stesso durante il giorno.

“Tutto ciò mi irritava parecchio, ma proprio allora mi concessi un minuto di pausa ed esaminai con calma la situazione. Così decisi che invece di tenere il muso mi sari alzato un’ora prima al mattino. Quell’ora sarebbe diventata la ‘mia’ ora e ne avrei fatto ciò che più mi piaceva.”

Lo zio sorrise. “Ricordo la prima volta che tentai l’esperimento. Ero stanco e non volevo affatto alzarmi dal letto. Rammento che ancora mezzo addormentato mi domandai: ‘Ma non ci sarà un altro modo”

“Stabilii di alzarmi soltanto quindici minuti prima del solito, aumentando la dose ogni settimana per quattro settimane di seguito. In capo a un mese avevo un’ora tutta per me ogni giorno.”

“E che cosa facevi in quell’ora?” chiese l’uomo.

“Non è questo il punto”, disse lo zio. “Non ha nessuna importanza. Ciò che importa veramente è che tu faccia qualcosa per te stesso”.

Lo zio allora ribadì la propria affermazione così da sottolineare il concetto.

“Ciò che si fa non ha importanza. Sono le piccole cose che modificano l’esistenza, piccole cose di cui magari nessun altro si accorge.”

Poi lo zio disse: “Quando sono esaurito, quando mi sento sopraffare dagli avvenimenti e mi viene a mancare la visone globale delle cose, mi pongo un’altra domanda semplicissima: ‘Ma in capo a dieci anni tutto questo avrà ancora importanza?’”

L’uomo fece un cenno del capo. “Scommetto che ora come ora le piccole cose senza importanza sono meno di prima e ti senti anche più sereno.”

“È vero” confermò lo zio.

“E faccio un’altra cosa”, aggiunse l’anziano signore. “Rido: più rido, più mi sento vivo e felice. Ricordo di aver ascoltato alla radio un fantastico programma di varietà. Ho riso così di gusto e mi ha fatto sentire così bene che mi sono comprato l’audio per ascoltarla in auto. In questo modo mi posso godere il programma mentre guido e viaggiare di buonumore.”

L’uomo disse: “Ricordo che eri una persona serissima; ora invece ridi molto più spesso. Che cosa ti è successo?”

Lo zio rispose: “Fortunatamente avevo un amico con un gran senso dell’umorismo. Osservandolo mi sono reso conto di come questo avesse migliorato la sua esistenza. Anche lui, come me, era oberato dal lavoro, eppure ciò non pareva pesargli. Allora ho deciso di abbracciare anch’io quella sua filosofica così scanzonata.

Rammento una volta che ero proprio giù e il mio amico mi domandò che cosa mi sentivo. Risposi che avevo una gran voglia di nascondermi.

“’Benissimo’, disse lui. Poi mi chiese se in casa avessi un ripostiglio. Certo che lo avevo. Allora lui disse: “È il posto ideale’. ‘Per che cosa?’ domandai io.

“’Per nascondersi’, disse lui. ‘Vai nel ripostiglio, portati dietro un sedia bella comoda e chiudi la porta.’”

Lo zio rise e proseguì: “Ben presto mi resi conto di quanto il mio piccolo dramma fosse ridicolo e smisi di rimuginarci sopra.”

“Così, ridere di se stessi è un buon modo di prendersi cura di sé”, osservò l’uomo.

“Si, certo”, fece lo zio. “Anzi, ti dirò di più, io rido in compagnia di me stesso. Mi diverto alle sciocchezze che faccio, alle mie imperfezioni, al mio essere ‘umano’.

“Però c’è un trucchetto”, aggiunse lo zio.

“Qual è?” chiese l’uomo.

“Quando mi prendo troppo sul serio”, disse lo zio, “come ovviamente facevo un tempo, allora immagino che su in cielo ci sia un Dio che si diverta a osservarmi perché gli piacciono gli uomini e anche perché mi vuol bene davvero.

“All’improvviso scoppia in una risata e grida rivolto a uno dei suoi compari: ‘Ehi, vieni qui. Guarda un po’ che cosa sta facendo lo zio! Che sagoma!’”

L’uomo rise: “Me ne ricorderò”.

Lo zio proseguì: “Ridere di me stesso e fare qualche piccola cosa tutta per me mi fanno proprio sentir bene”.

Poi aggiunse: “Ma tu volevi degli esempi. Talvolta cambio abitudini e salto il pranzo. Faccio una passeggiata, oppure mi compro una piccola cosa. Ricordo che una volta addirittura andai in una pinacoteca alle undici del mattino, per poi ritornare in ufficio a lavorare durante la pausa del pranzo.

“Intraprendo delle piccole spedizioni nei dintorni. Vado in posti in cui non sono mai stato prima soltanto per scoprire che cosa provo a essere là. Magari si tratta di una zona della città che di solito non frequento, oppure di un negozio in cui non ho mia messo piede. Il cambiamento mi fa sentire vivo e sviluppa il mio senso dell’avventura.

Un minuto tutto per me – la ricerca – parte 1/4

Riporto una storia in quattro brevi articoli. Uno al giorno. Eccola. Da leggere in quattro giorni. Un poco alla volta

Un minuto tutto per me – La ricerca

C’era una volta un uomo che voleva essere più felice di quello che era e desiderava che anche gli altri lo fossero.

Era una situazione frustrante, perché l’uomo aveva fatto del suo meglio per procurare la felicità sia a se stesso che agli altri; eppure, nonostante tutti i suoi sforzi, non riusciva a ottenere quello che voleva. L’uomo si era fatto scettico.

Quando era da solo non si sentiva in pace con se stesso come avrebbe desiderato.

Anche nei suoi rapporti con gli altri, in famiglia e sul lavoro, pareva mancare qualcosa di importante.

La cosa migliore che gli potesse accadere era deludere le aspettative che lui stesso oppure altri si erano posti nei suoi confronti. In caso contrario, invece, faceva del male al suo prossimo, anche se in genere non era consapevole.

L’uomo si domandava se sarebbe mai riuscito a scoprire il segreto della felicità.

Tuttavia ne sapeva abbastanza in proposito per rendersi conto, che se mai l’avesse trovata, la felicità sarebbe stata comunque dentro di lui.

Nel frattempo, l’uomo cercava qualcuno che l’avesse già scoperta e lo potesse quindi far partecipe del proprio segreto.

Dopo aver interpellato molte persone l’uomo comprese che gran parte di esse provavano i suoi stessi sentimenti. Pochissimi sembravano davvero felici, tuttavia non volevano dividere con lui il proprio segreto, oppure non ne erano capaci.

Eppure l’uomo sapeva di dover trovare una risposta al più presto, per il bene proprio di quanti gli vivevano accanto o lavoravano con lui.

Si augurava di riuscire a scovare qualcuno che conoscesse quella risposta, che l’avesse vissuta in prima persona e gliela potesse spiegare con un esempio pratico.

“Forse”, pensava, “è un segreto troppo intimo perché possa essere diviso con un estraneo. Se soltanto conoscessi qualcuno…”

Poi di colpo gli venne in mente qualcuno che conosceva molto bene e che era felice e fortunato.

Lo “Zio”, come tutti in famiglia lo chiamavano, pareva possedere proprio tutti i requisiti necessari, dalla buona salute e una solida ricchezza. Eppure l’uomo aveva sentito dire che non era stato sempre così. Lo zio conduceva una vita felice sia in famiglia che nell’ambito della società.

Pareva sempre contento, e lo stesso accadeva a quanti gli stavano accanto. L’uomo rammentò quanto egli stesso si sentisse sereno in compagnia dello zio.

Lo zio pareva conoscere il modo di rendere felice se stesso e gli altri.

Si domandò come mai in precedenza non avesse mai parlato con lui se non superficialmente: si era sempre trattato di conversazioni futili durante le riunioni di famiglia.

Gli telefonò e gli chiese se poteva vederlo: stabilirono di incontrarsi il giorno seguente.

ipnosi in azienda

DATA E ORARI

durata: 8 ore

Orari da definire

LUOGO

Bergamo
TRAINER

Gian Battista Gualdi
tel. 348 5555348
info@ipnosi.es
TARIFFA

Il corso singolo utente € 400,00 + iva

Il corso di gruppo per 8 utenti € 1.400,00 + iva

Il corso comprensivo di dispense didattiche
ISCRIZIONE

www.abracadabra.it/aziendaipnotica
Vi siete mai chiesti quando Vi stanno manipolando? Usano l’ipnosi? Come funziona la conversAzione Ipnotica ConVincente

  • Cos’è e come funziona l’Ipnosi?
  • Il potere delle parole – “ne uccide più la lingua che la spada”
  • Studio pratico delle tecniche nella comunicazione e nel marketing
  • La parola e la comunicazione più bella che esiste. Qual è?
  • Il principio dell’ABS
  • Come Trattare gli altri e farseli amici
  • Analisi dei casi di successo

“La comunicazione di successo non è altro che ipnosi” Milton H. Erickson

L’ipnosi non esiste. Esiste solo l’autoipnosi.

Ho cambiato di frequente il titolo di questo corso. Questo corso avrebbe potuto chiamarsi

  • Ipnosi conversazionale
  • Ipnosi ConVincente per vendere
  • L’arte dell’Ipnosi
  • Ipnosi per Vincere
  • Vincere e convincere
  • Comunicazione Ipnotica
  • Comunicazione ipnotica per vendere e venderSi
  • Ipnosi in azienda

Fondamentalmente è composto da tre moduli principali:

  • Attrarre l’attenzione – Fammi il filo
  • Bypassare la mente conscia – le tecniche per negoziare con la mente conscia
  • Stimolare l’inconscio – Tecniche della mente

Capire come far fare qualcosa ai nostri interlocutori è di fondamentale importanza. Si possono manipolare e manovrare le persone oppure si può riconoscere in loro il potere affinché facciano quello che vogliamo noi e di conseguenza anche loro. L’ipnosi ci indica questa strada; ovvero la capacità di far emergere le potenzialità che gli altri hanno. È molto semplice.
PROGRAMMA DEL CORSO

Principi dell’ipnosi e della comunicazione ipnotica, cosa sono?
Come riconoscerla e come riconoscere i soggetti. Come guidare un soggetto
Attrarre l’attenzione bloccare le interferenze
Cosa è il rapport in ipnosi e cosa sono i canali preferenziali della comunicazione
Il potere di dare e di conCedere il controllo
Le induzioni e le sue fasi: Imparare a concentrarsi e a visualizzare, creare un rilassamento totale, la ricerca delle risorse utili, il ritorno alle attività normali
Le tre fasi di ogni ipnosi:
• Attrarre l’attenzione. Quali sono i metodi?
o Rallentare. Le pause e gli stop, catturare l’attenzione
• Bypassare la mente conscia con le tecniche
o Campo affermativo, sovraccarico, confusione, shock
• Stimolare l’inconscio con le suggestioni e le induzioni
o Tre volte concetti e tre parole. Il dialogo; sei veramente il prescelto? L’uso di: Non, ma, però, se
o Il potere è sempre stato nelle parole
o Storie personali e metafore
• Tecniche (respiro, fissazione, immaginazione, anticipare, accelerare)
• Altre tecniche
esercizi pratici, Esercizi Pratici, ESERCIZI PRATICI
A CHI È RIVOLTO IL CORSO

Venditore – per accogliere un bisogno e per stimolare un desiderio
Manager – per motivare i propri collaboratori e condurre le trattative
Oratore – per inquadrare il pubblico subito coinvolgere qualsiasi platea
Mago e Mentalista – per attivare la comunicazione empatica con gli spettatori
Docente – per motivare la classe e sviluppare il potenziale e le abilità di ogni studente

Team building in barca a vela

”il divertimento è un potente acceleratore dei processi di apprendimento”

Organizzare una regata per testare il funziona­mento di un team? Non è una fantasia, è real­tà! L’attività di Team Building barca a vela darà al tuo team la possibilità di vivere un’esperienza adrenalinica, ricca di contenuti formativi, al tem­po stesso competitiva e cooperativa.

Il Team Sailing è un’attività che si svolge su una barca a vela. La barca infatti è un ambiente nuo­vo, fuori dall’abitudine quotidiana, libero da con­dizionamenti e coinvolgente sia fisicamente che psicologicamente.

Permette dunque di misurare e di formare le qua­lità del team senza i condizionamenti quotidiani dell’ufficio. I partecipanti devono affrontare sfide diverse da quelle del mondo del lavoro, manife­stando le loro migliori qualità di comunicazione e problem solving. Alla fine di questa avventura miglioreranno le abilità di comunicazione inter­personale ed emergeranno le doti di leadership. L’ambiente sarà dunque completamente diffe­rente dalla normalità aziendale, ma le modalità di interazione saranno analoghe. Questo permetterà ai partecipanti di lavorare sul funzionamento del team, sul problem solving e sulle altre problema­tiche aziendali.

I BENEFICI DELLA BARCA A VELA

La barca stimola a superare barriere menta­li e inibizioni personali spesso inconsce. Saranno fondamentali la comunicazione, il teamwork, la capacità dei componenti del team di pensare e agire come un organismo unico per raggiungere la meta prefissata.

Formazione:

Giornata

Team building arrampicata

Organizzare una giornata dedicata all’arrampicata oggi può essere un metodo nuovo ed energico per verificare l’affiatamento di un team! L’attività di Team Building arrampicata consente di avvicinarsi a uno sport oggi in costante espansione e contemporaneamente molto formativo.

Il Team Climbing si svolge in una palestra d’arrampicata, una location poco frequentata dai più e in cui è richiesto un importante impegno sia fisico che psicologico.

I partecipanti, misurandosi con la pendenza e l’altezza della parete rocciosa, sono chiamati a una cooperazione e ad una comunicazione attiva e precisa. Fondamentale in questo contesto risulta essere il rapporto di fiducia tra i componenti del team senza i condizionamenti quotidiani dell’ufficio. Alla fine di questa avventura miglioreranno le abilità di comunicazione interpersonale ed emergeranno i rapporti di fiducia che si sono creati.

I BENEFICI

L’arrampicata, nel suo tendere verso l’alto, stimola i partecipanti a superare le proprie paure alimentando la fiducia in sé e negli altri. Saranno fondamentali la comunicazione, il teamwork, la capacità dei componenti del team di fidarsi e di far sentire al collega che può fare altrettanto.

Formazione:

Giornata